Jobs Act, davvero lo chiede l'Europa? - di Frida Nacinovich

Sarà anche vero che “ce lo chiede l’Europa”. Ma evidentemente qualcosa non torna se poi contro il jobs act viene annunciato un ricorso alla Corte di giustizia europea in Lussemburgo. I provvedimenti del governo Renzi in tema di lavoro – con un’ulteriore precarizzazione dell’intero settore – sarebbero infatti in contrasto con due articoli della Carta di Nizza, quella che mette nero su bianco i diritti fondamentali di tutti i cittadini dell’Unione europea. E allora, che cosa ci sta chiedendo davvero l’Europa? E ancora, non sarà che “ce lo chiede l’Europa” è l’ennesima foglia di fico, diventata un tormentone nel solco della più classica comunicazione renziana, dietro la quale si nasconde la volontà politica di favorire in tutti i modi l’impresa ai danni del lavoratore? Il maccheronico inglese del presidente del Consiglio italiano non c’entra. Il cortocircuito non sta avvenendo nel passaggio fra la strategia dell’austerity cara a Bruxelles, e le sue ricadute nella provincia Italia. Il jobs act e il decreto Poletti che lo ha preceduto, vanno ben oltre i diktat di abbassare drasticamente il debito pubblico (fiscal compact) e di rispettare il pareggio di bilancio messo sciaguratamente in Costituzione dalla grande coalizione del Pd di Bersani e Renzi, del Pdl di Berlusconi e Alfano, della Scelta civica di Monti e Casini. I tanti difensori del premier di Rignano sull’Arno – peraltro in calo di popolarità a sentire i sondaggi – potrebbero rispondere che nel suo animo, il quarantenne inquilino di palazzo Chigi è rimasto lo studente secchioncello che ambiva ad essere il primo della classe. I critici – che sempre secondo i sondaggi sarebbero in discreto aumento – potrebbero altresì osservare che gli unici a spellarsi le mani per le imprese di Renzi sono quelli di Confindustria. Giorgio Squinzi in testa. Nel corpo a corpo contro i sindacati, il governo italiano tradisce da una parte le sue simpatie, dall’altra un crescente nervosismo. Va a finire che nel comizio di sostegno al collega di partito Stefano Bonaccini, candidato alla guida della regione Emila Romagna, in un PalaDozza stracolmo di inossidabili militanti democrat, il Renzi furioso attacca a testa bassa la Cgil di Susanna Camusso. Risultato: Bonaccini presidente, ma due elettori su tre, nella Regione che da sempre è stata serbatoio di voti per il Pci, per il Pds, per i Ds e per il Pd, se ne restano a casa disertando le urne. Perfino l’Emilia paranoica cantata da Ferretti e Zamboni è diventata insofferente di fronte alla sicumera del suo leader. Chissà se anche in quell’occasione, a Renzi, l’intervento era stato suggerito dall’Europa. Quella che un giorno sì e un giorno no, a parole, il premier italiano dice di voler cambiare. Fra le risate degli spagnoli di Podemos e dei greci di Syriza, per non parlare delle sinistre continentali, da Izquierda unida, alla Linke, passando per il Front de gauche.     


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