In comune con Brigitte Bardot ha la passione per i gatti. Non molto altro, a occhio e croce. Eppure Sergio Mattarella è piaciuto a tanti grandi elettori presidenziali. Quasi a tutti. Forse a troppi. Come nel film, ormai un classico, di Roger Vadim. Che piacesse al Pd era tutto sommato scontato: fondatore del partito, espressione della sinistra democristiana prima, autorevolissimo esponente del Partito popolare e poi della Margherita, Mattarella rappresenta perfettamente una delle grandi famiglie politiche, culturali e sociali che hanno dato vita al partitone tricolore. Dopo l’anticamente comunista Napolitano, l’anticamente democristiano Mattarella. Matteo Renzi non ha fatto chissà quale rivoluzione. Piuttosto è stato abile nel tirar fuori dal mazzo la carta di Mattarella come unica proposta del partito di stragrande maggioranza relativa - in Parlamento - dopo aver ottenuto nelle assemblee dei gruppi il nulla osta di deputati, senatori e altri grandi elettori. Il ricordo del 2013, della seconda tumultuosa elezione di Giorgio Napolitano al Quirinale, suggeriva prudenza e soprattutto velocità di esecuzione. Renzi aveva centouno buone ragioni per evitare complicazioni dell’ultimo momento.
Silvio Berlusconi aveva chiesto che il futuro presidente della Repubblica fosse un “moderato”. Traduzione: dopo Napolitano il nuovo inquilino del Quirinale non poteva arrivare dalla tradizione del Pci-Pds-Ds. Sotto questo profilo il Cavaliere è stato accontentato. Anche se Mattarella, dalle parti di Arcore, resta l’uomo che si dimise da ministro quando Bettino Craxi - dopo il decreto del 1984 - fece un secondo grande regalo a Berlusconi imponendo nell’agosto del ‘90 la legge Mammì. Insomma non un uomo nero come Romano Prodi, ma nemmeno un ospite gradito a tavola. Però gli italiani hanno tradizionalmente la memoria corta e i loro rappresentanti non fanno eccezione, quindi il fascino dello scudocrociato ha sedotto più di un forzista. Risultato: il dodicesimo presidente della Repubblica è stato eletto con ben 665 voti. Anche quelli di Sinistra ecologia e libertà, anche quelli del Nuovo centro destra di Alfano. Anche quelli di una quarantina di franchi sostenitori forzisti dell’ormai ex giudice costituzionale. Il Cavaliere dei giorni migliori, certo, avrebbe potuto spacciarla come una mezza vittoria. Quello di oggi, più stanco e quasi ottantenne, non è più in grado di vendere lucciole per lanterne. Ora Forza Italia si aggrappa all’ormai celebre patto del Nazareno, uno yacht accogliente, anche se il mare del centrodestra resta assai tempestoso. Perché il partito di Renzi, così come Walter Veltroni lo disegnò al Lingotto, ha un’insopprimibile vocazione maggioritaria. E dopo il tramonto del ventennio berlusconiano, il paese si riscopre democristiano. Nel solco della tradizione.