Lavorare in appalto, anche per gli enti pubblici, significa saper fare di tutto: dalla portineria al centralino, dalle pulizie all’autista. Con orari oltremodo flessibili. L’immagine che viene in mente è quella del giunco che si piega al vento: quando arriva la chiamata alla ditta appaltatrice, i lavoratori devono essere pronti a entrare in azione. “Prendiamo ad esempio le sedute del consiglio regionale - osserva Annarosa Picchioni - possono ‘allungarsi’ fino a notte inoltrata, ben oltre la mezzanotte. E per il buon funzionamento dell’assemblea deve essere garantita tutta una serie di servizi: centralino, portineria, autisti”. Picchioni sa di che parla, iscritta alla Filcams-Cgil, fa parte della combattiva rappresentanza sindacale della portineria regionale Toscana, passata alla cronaca - non solo cittadina - per la lotta in difesa del posto di lavoro. Quando il loro committente, l’ente Regione, cambiò i termini, le regole, per la nuova gara d’appalto. “Una gara al massimo ribasso, senza garantire neppure i minimi di categoria”. Nodo del contendere, quasi inutile dirlo, il tipo di trattamento, che varia di gran lunga nella retribuzione oraria dei lavoratori a seconda che il contratto di riferimento applicato sia quello del terziario, del “multiservizi”, come ritengono adeguato lavoratori e sindacati, oppure sia quello applicato dai “proprietari dei fabbricati”, vale a dire quello che riguarda i portieri presso stabili “privati”. Dopo uno sciopero ad oltranza e vari sit-in davanti alle sedi regionali, il Consiglio regionale prese posizione, approvando all’unanimità una mozione grazie alla quale i lavoratori in appalto ottennero in cambio di un ulteriore aumento di mansioni, un lieve aumento retributivo.
La domanda più complicata da fare a Picchioni è quella in apparenza più semplice. Cosa fanno nel loro turno di lavoro i sessantacinque dipendenti in appalto della Regione Toscana? “Dal semplice portierato a una sorta di security generale nel palazzo. Smistiamo la posta, facciamo i centralinisti, gli autisti. Siamo anche facchini e vivandieri, guardiani e guide del Museo. Rispondiamo alle chiamate di cittadini che vogliono parlare con il Corecom, o con il difensore civico. So bene quanto sia importante offrire questo servizio, è la mia mansione, ci vuole competenza ma anche sensibilità: spesso arrivano telefonate molto delicate al numero verde del difensore civico. Ah, facciamo anche il centralino della protezione civile regionale”. Quella che viene impegnata quando succedono disastri, anche gravi, che finiscono sulle prime pagine dei giornali. E da poco i lavoratori in appalto si occupano anche del nuovo numero verde della sanità, riservato ai cittadini che non riescono a ottenere risposta in tempi accettabili alle loro richieste per una prestazione specialistica.
Sessantacinque dipendenti più qualche lavoratore a “chiamata”. Picchioni si chiede: “Un ristoratore può aver bisogno di qualche addetto in più a Pasqua e Natale, per il cenone di capodanno. Nel nostro campo perché non viene espressa questa esigenza? Perché avvalersi di lavoratori ancor più flessibili, ancor più ricattabili?”. Altra domanda complicata: qual è il vostro orario di lavoro? “Tutti quelli possibili, compresi i turni notturni e gli orari spezzati. Comprese le domeniche e i festivi. Dipende dalle esigenze dei committenti”.
Nell’epoca in cui la qualità del lavoro è peggiorata ovunque, gli addetti in appalto non sono la rondine che fa primavera. “Ancora aspettiamo i nostri contratti. Grazie alle lotte che abbiamo fatto le condizioni sono migliori rispetto a quelle cui ci avevano relegato, ma abbiamo comunque perso salario”. “Fra le ulteriori mansioni che ci hanno attribuito - ricorda Picchioni - ci sono il controllo dei presidi antincendio e dei dispositivi antifumo, anche quello di custodi del museo”. Insomma, sono poco più di una cinquantina e si occupano davvero di tutto, retribuiti molto meno dei loro colleghi ‘strutturati’. “Non esistono pause, per uno stipendio di poco superiore ai 5 euro orari. Ce lo avevano addirittura abbassato a 4,08!!! Per questo abbiamo aperto la vertenza, durata sei mesi durante i quali abbiamo guadagnato quella cifra. Si può solo immaginare come se la siano passata male i/le le colleghi/e con un mutuo in famiglia, oppure con figli piccoli all’asilo nido”.
Con la precarizzazione del lavoro, il loro comparto è sempre più vasto. Quale è il livello di consapevolezza sindacale fra i lavoratori delle portinerie della Regione? “Più tessere che attivisti, anche perché siamo ricattabili. Se ad esempio qualcuno di noi sta sulle scatole al committente può essere destinato a lavorare in posti lontani, o con orari impossibili o senza pause e riposi”.
Picchioni sottolinea la particolarità di un lavoro a diretto contatto con le istituzioni politiche. “Vediamo tutti i giorni i consiglieri regionali e gli assessori, lavoriamo al loro fianco, ma a volte abbiamo l’impressione di essere “invisibili”. Non così, però, per alcuni, come il consigliere Romanelli, la cui mozione, la 990, votata pochi giorni fa all’unanimità, impegna la giunta a ripensare il sistema degli appalti, fino ad una eventuale reinternalizzazione delle mansioni. Sicuramente l’ente Regione risparmierebbe sull’Iva dei contratti d’appalto”. I rapporti con l’azienda sono difficili, i tavoli di incontro rari. “Dovremmo essere in sciopero spesso e volentieri - dice con amara consapevolezza Annarosa Picchioni - ma sarebbe complicato - aggiunge subito - guadagniamo meno di 1’000 euro al mese per quaranta ore settimanali”. Storie ordinarie di lavoro in appalto.
[Questo articolo è stato pubblicato in una versione ridotta nel numero 0 di “sinistra sindacale”, il nuovo periodico confederale di Lavoro Società]