Matteo Renzi se le canta e se le vota. Il cosiddetto italicum è legge dello Stato. Succede al porcellum, studiato dal leghista Roberto Calderoli per complicare il cammino delle maggioranze, specialmente al Senato. La Consulta aveva poi trovato tanti e tali difetti alla legge elettorale, da tracciarne - nei fatti - una nuova sostanzialmente proporzionale, e con lo sbarramento al 4%. Ma il Pd renziano, aborrendo il proporzionale che gli assicurerebbe un gran numero di parlamentari ma non la possibilità di governare a proprio piacimento, non ha perso tempo a sostituirlo. Anzi, ha sempre fatto finta che il consultellum non esistesse, almeno nei dibattiti pubblici.
La legge elettorale appena approvata divide non solo i partiti ma anche i costituzionalisti, che sono in buona parte critici. Ma ormai è legge dello Stato e le formazioni politiche dovranno farci i conti. Ci sarà un premio di maggioranza del 55% (340 seggi su 630, come nel porcellum) per il partito più votato. Per conquistarlo, però, sarà necessario superare la soglia del 40% al primo turno, oppure vincere al ballottaggio con il secondo arrivato. In basso, la soglia di accesso per entrare a Montecitorio è fissata al 3%. I collegi in cui è diviso il territorio nazionale sono cento: in ciascuno di essi i capilista di ogni formazione sono bloccati. Gli altri, se saranno eletti, lo saranno con le preferenze. Infine ci sarà la possibilità delle candidature multiple: uno stesso candidato potrà essere capolista anche in dieci collegi. Tutto deve cambiare affinché nulla cambi, osservava il principe di Salina nel Gattopardo. In sintesi una legge abbastanza pasticciata, nonostante l’enfatica scelta di Renzi di battezzarla italicum.
Fra i tanti critici della legge, calando un velo pietoso su Forza Italia che l’ha votata al Senato per poi uscire al momento del voto alla Camera, ci sono tutti gli altri partiti presenti in Parlamento e anche una piccola parte del Pd. Non propriamente piccola (61 deputati) ma non sufficiente a impedire l’approvazione della legge con la maggioranza assoluta dei deputati, 334 voti a favore su 630. L’antico detto andreottiano (a pensar male si fa peccato, ma spesso si indovina) porta a un’osservazione elementare: la minoranza democrat aveva tutte le possibilità di bloccare la legge elettorale al Senato, dove i suoi voti sono determinanti. Non l’ha fatto. L’Aventino alla Camera, visti i numeri, si è rivelato come ci si aspettava. Una prova di forza inconcludente. Ora che succederà? A palazzo Chigi sventola la bandiera della vittoria, sia pure a colpi di fiducia il governo sta andando avanti per la strada che si era prefissato. L’esecutivo renziano non è sfiorato dal dubbio che la nuova legge elettorale, fatta tenendo conto della progettata ma non realizzata rivoluzione al Senato, possa incorrere in vizi di incostituzionalità. A ben vedere, a Matteo Renzi e ai suoi sempre più numerosi fan - nel Pd - importava soprattutto torcere la legge elettorale in senso presidenziale. Un partito solo al comando, e un presidente del Consiglio sempre più premier e sempre meno legato agli umori delle due Camere. Dalle finestre del Quirinale è uscito il consueto spiffero che ha portato in dono a Renzi la notizia di un sostanziale via libera di Sergio Matterella alla nuova legge. Quanto alla Corte costituzionale ci vorranno presumibilmente almeno due, tre anni prima che esamini a sua volta il provvedimento. Tempo sufficiente per poter andare almeno una volta alle urne con l’italicum.
Nel breve periodo gli effetti della prova di forza renziana si rifletteranno quasi esclusivamente sul Pd. Le aperte contestazioni dell’ex segretario del partito Pierluigi Bersani, dell’ex presidente del Consiglio Enrico Letta (che a settembre lascerà il Parlamento per volare a Parigi) e di personaggi come Rosi Bindi, Stefano Fassina, Pippo Civati (dato in uscita dal Pd) fanno presagire un’estate bollente a largo del Nazareno. Per certo le leve del partito sono saldamente nelle mani del piccolo duce di Rignano sull’Arno. E le sistematiche richieste di fiducia del governo spuntano le armi dell’opposizione interna. Gli abbracci i e i baci fra i banchi del governo dopo l’approvazione della legge sono una nitida fotografia dello stato delle cose: non ci sono nubi all’orizzonte di palazzo Chigi, almeno sul fronte della politica istituzionale. Complice anche quel “senso di responsabilità” diventato, fin dai tempi del governo Monti, la cifra della massima parte della politica italiana. Quando però si esce dal palazzo l’opposizione sociale al governo continua a farsi sentire. Il riuscito sciopero della scuola ne è stata una plastica dimostrazione. Matteo Renzi ha comunque buon gioco a riproporre l’ennesimo aut aut secondo il codice binario a lui tanto caro: o con me o contro di me. Musica per le orecchie della maggioranza del Pd e delle altre forze politiche di centro e di destra - dagli alfaniani di Ncd e dalla stessa Forza Italia di Silvio Berlusconi - che vedono nell’ex sindaco di Firenze il perfetto esecutore di politiche che nelle loro stagioni governative non erano riusciti a mandare in porto.