Mentre gli italiani erano in vacanza, gli addetti ai punti vendita organizzavano scioperi e flash mob
L’agosto di lotta degli oltre seimila lavoratori Ikea è sintetizzabile nel numero finale della tombola: “Da quando si è interrotta la trattativa – riepiloga Cecilia De Pantz, segretaria padovana della Filcams – sono state fatte 90 ore di sciopero”. Un giorno si sono fermati i piemontesi, il giorno dopo gli emiliani, poi è toccato ai toscani e via di seguito nelle altre regioni, in tutti i 21 megastore della penisola. La risposta al diktat della multinazionale di cancellare il contratto integrativo, che permette alla grande maggioranza dei dipendenti - circa il 70% di loro ha contratti part-time dalle 20 alle 28 ore settimanali - di prendere in busta dai 900 ai 1.200 euro, quando la paga base oscilla dai 600 agli 850 euro.
Mentre gli italiani erano in vacanza, anche loro malgrado vista la difficoltà di trovare un lavoro “regolare”, gli addetti ai punti vendita Ikea sacrificavano parte del loro stipendio e organizzavano presidi e flash mob da un capo all’altro della penisola, per tenere vivo l’interesse sulla vertenza. Ad esempio a Collegno nel torinese, con la spiritual guidance del combattivo Stefano Morgantini, si sono fermati a più riprese, consegnando poi allo “store manager” un impegno scritto a presentarsi al tavolo delle trattative anche a ferragosto. Ma solo a patto che l’azienda cambiasse la proposta di rivedere al ribasso sia il premio aziendale - una parte fissa dello stipendio - che le maggiorazioni festive e domenicali.
Alla fine la multinazionale è stata costretta ad arretrare di qualche passo: “La trattativa può riprendere – annuncia De Pantz – e nel frattempo Ikea ci ha dato la garanzia che l’attuale contratto resterà in vigore fino alla conclusione della vertenza”. Un risultato non da poco, visto che a fine luglio, mentre Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs continuavano a chiedere di riaprire la discussione, l’azienda aveva ribadito che i dipendenti Ikea dovevano accettare tutto quello che il management aveva progettato per loro. Un atteggiamento talmente duro e incomprensibile da provocare una risposta adeguata. Come quella di lavoratori e lavoratrici del megastore bolognese di Casalecchio di Reno, pronti ad affiggere ben in vista uno striscione con l’articolo 36 della Costituzione italiana: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro, e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia una esistenza libera e dignitosa”.
Ora che succederà? “Nell’ultima settimana di agosto ci sono state assemblee in tutti i punti vendita – spiega Cecilia De Pantz – il 7 settembre a Roma ci sarà una riunione del coordinamento sindacale di Ikea, per fare una sintesi delle proposte fatte dai lavoratori, da portare poi al tavolo con l’azienda. Un appuntamento fissato per la settimana seguente, il 14 settembre. E con un avvertimento preventivo: “Se il management non sarà più conciliante continuando a far muro sulle nostre proposte – chiude De Pantz – già dal 15 settembre siamo pronti ad avviare una nuova serie di scioperi”.
Scioperare con fantasia
Si va dai lavoratori in flash mob con indosso grandi lettere dell’alfabeto per costruire lo slogan “Pessima Ikea”, ai girotondi come quello organizzato a Bologna in piazza Maggiore durante l’affollata rassegna notturna dei film all’aperto. Gli oltre seimila addetti italiani della multinazionale non hanno certo difettato nella fantasia, per spiegare ai cittadini i motivi della loro protesta.
Gli scioperi nei megastore più “anziani” sono riusciti, con adesioni arrivate anche all’80, 90%. Per cercare di tappare le falle, i manager Ikea si sono messi alle casse, rimaste peraltro chiuse in massima parte, e hanno dovuto chiedere alle agenzie interinali dei lavoratori di supporto per garantire almeno alcuni servizi di base. Più complessa la situazione nei punti vendita di recente apertura, dove il timore di mettere a rischio un lavoro appena conquistato (è il caso dell’Ikea di Pisa) ha costretto molti giovani a non incrociare le braccia. Anche se tutti, grazie al passa parola interno, conoscevano i piani della multinazionale: “Per giustificare la disdetta dell’integrativo – hanno fatto subito sapere Filcams, Fisascat e Uiltucs – ci hanno detto che negli ultimi tre anni sono andati in perdita. Ma non è vero. Poi hanno anticipato che nei prossimi anni apriranno altri dieci punti vendita in Italia. Ed è per questo che vogliono tagliare, già da oggi, le paghe”.
E’ sul piano simbolico che gli scioperi, i presidi, i flash mob e le altre forme di mobilitazione hanno colpito duramente la multinazionale. Agli occhi dei cittadini-consumatori, è venuta meno l’immagine di “azienda perfetta” che Ikea persegue fin dalla sua nascita, cercando di fidelizzare i clienti. Anche per questo la riapertura delle trattative è stata salutata con favore ma con l’esplicita avvertenza che, senza il ritorno all’integrativo, gli scioperi andranno avanti anche in autunno.