La democrazia sindacale della rappresentanza - di Andrea Montagni

Il 10 gennaio 2014 CGIL CISL e Uil siglarono con Confindustria il “testo unico sulla rappresentanza”. Fu un fatto importante e provocò anche una pesante divisione nel sindacato. Il giudizio, in casa CGIL accentuò il divario di posizioni tra la maggioranza del gruppo dirigente della FIOM e la CGIL nel suo complesso e - cosa dolorosa per noi di Lavoro Società - produsse in sede congressuale una differenziazione nel gruppo storico di compagne e compagni che dal 1984 hanno portato avanti una linea di sinistra sindacale nella Confederazione. Il 17 gennaio 2014 nel Direttivo nazionale della CGIL, Lavoro Società sostenne nella dichiarazione di voto: “Con il Testo unico del 10 gennaio per la prima volta sono affermate in modo certo regole per l’elezione di rappresentanze sindacali unitarie, definiti i criteri di rappresentatività nazionale e aziendale, stabilite le regole per la validazione degli accordi”.

A quell’accordo, che per quanto riguarda i servizi è valido soltanto per le aziende affiliate a Confindustria, in particolare nel multiservizi e nel Turismo hanno fatto seguito altri due accordi rilevanti per i lavoratori della distribuzione e del commercio e sempre nei multiservizi: quello con le organizzazioni datoriali cooperative del 28 luglio 2015 e quello con Confcommercio del 26 novembre sempre del 2015.

L’importanza di questi tre accordi, una volta sopite le polemiche sul primo, non viene sottolineata abbastanza. Mi permetto di fare alcune considerazioni che considero utili per i quadri sindacali e per i delegati.

Queste intese confederali sono importanti per due aspetti: la definizione della rappresentanza al fine di rendere validi gli accordi erga omnes da un lato, dall’altro la regolazione dei rapporti tra sindacati e lavoratori su base democratica attraverso la definizione di modalità di elezione e titolarità delle RSU.

Sul terreno della democrazia emergono i limiti dell’accordo che contempera posizioni affatto diverse tra CGIL CISL e UIL e infatti limita pesantemente (a differenza della legislazione del pubblico impiego) l’autonomia dei delegati dalle loro organizzazioni, pur riconoscendo loro la piena titolarità della contrattazione di secondo livello aziendale.
Ma sul terreno dei criteri di rappresentatività esso costituisce un elemento totalmente innovativo e di grande impatto che da ragione alla battaglia
trentennale della CGIL che pur essendo, ad oggi, il sindacato più rappresentativo, con il maggior numero di iscritti e il più alto livello di presenza con RSA e RSU nel paese e nei luoghi di lavoro, si è visto escludere dai tavoli di trattativa in virtù della possibilità dei padroni di determinare al tavolo negoziale gli interlocutori più “adatti”. Vedi gli accordi separati di Federmeccanica, di Confcommercio e, per guardare al generale, quelli dei governi Berlusconi sulla legislazione del lavoro.

Per questo l’accordo con Confcommercio introducendo, accanto ai criteri del numero di iscritti certificato e del numero dei voti riportati nelle elezioni delle RSU, il criterio della verifica del numero delle vertenze individuali, plurime e collettive (accordi di cassa e di mobilità, contratti di solidarietà, transazioni e conciliazioni effettuate in “sede protetta”) e le pratiche di disoccupazione non compie una operazione di “legittimazione” impropria. Al contrario, riconosce la peculiarità di un settore nel quale prevale la dimensione della piccola impresa anche a gestione familiare e l’attività sindacale si esplica largamente e direi prevalentemente dal punto di vista temporale nella tutela e nella vertenzialità individuale per cui il livello di sindacalizzazione si impenna per l’appunto al momento della interruzione del rapporto di lavoro, mentre la contrattazione collettiva è sottratta per fatto oggettivo agli strumenti di indirizzo, di controllo e di verifica propri del lavoro d’impresa: assemblee e referendum in sede aziendale, presenza di RSA, RSU sulla base della Legge 300 e delle norme contenute nei CCNL e nello stesso accordo interconfederale.

Una sfida per la FILCAMS CGIL e per tutti i sindacati che hanno sottoscritto o sottoscriveranno l’intesa. Una intesa che attende ora i regolamenti attuativi per rendere esigibili le RSU nei luoghi di lavoro, ma che costituisce premessa indispensabile per un pluralismo sindacale basato sulla legittimazione dei lavoratori e non delle controparti.


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