Tocca di nuovo alle pensioni di reversibilità, perché già la Legge 111/2011 è intervenuta sulle pensioni di reversibilità con quello che è stato chiamato il provvedimento “anti-badante” passato, per la verità, sotto silenzio. Con l’intento di bloccare “i matrimoni d’interesse’ tra badanti e arzilli signori non più giovani, dall’1/01/2012 di fatto è tagliata la pensione di reversibilità per chi ha contratto matrimonio da meno di 10 anni con un consorte ultra-65enne o comunque più anziano di 20 anni. Alle pensioni viene applicato un taglio del 10% per ogni anno che manca ai 10 stabiliti, salvo nel caso di presenza di figli minori, studenti o disabili.
Il Ministro Poletti accusa di cercare facile visibilità chi inventa un problema che non c’è: nessun intervento sulle reversibilità in essere né in futuro ma “superamento di sovrapposizioni e situazioni anomale”. Peccato che nella proposta di legge delega si parli di razionalizzazione delle prestazioni assistenziali, anche di natura previdenziale, in dipendenza del valore dell’ISEE.
Ma cos’è la Pensione di reversibilità? Innanzi tutto NON è una prestazione assistenziale ma una prestazione previdenziale legata a requisiti contributivi. Quindi che c’entra l’ISEE? E’ essa stessa una prestazione economica erogata per combattere la povertà. E allora di cosa ciancia Poletti? Che la sua sia malafede è chiaro se si pensa che la pensione liquidata a decorrere dal 1 settembre1995 è già soggetta a riduzione se il titolare possiede altri redditi e precisamente del 25%, 40%, 50% a seconda che il reddito sia superiore di 3, 4, 5 volte il trattamento minimo annuo del Fondo dei lavoratori dipendenti calcolato su 13 mensilità. La pensione di reversibilità (a favore dei familiari di un pensionato) o indiretta (a favore dei familiari di un lavoratore), spetta al coniuge superstite, anche se separato, coniuge divorziato, se titolare di assegno divorzile, figli che alla data del decesso del genitore siano minori, inabili di qualunque età, studenti o universitari fino a 26 anni e a carico del deceduto, nipoti se a carico di nonno o nonna alla data del decesso.
In mancanza può essere erogata al genitore ultra-65enne, non titolare di pensione, ai fratelli e sorelle non coniugati, non titolari di pensione, purché a carico del pensionato o lavoratore al momento del suo decesso.
I requisiti contributivi richiesti sono definiti con precisione. Infatti il lavoratore deceduto, non pensionato, deve avere maturato almeno 15 anni di contributi oppure, in alternativa, 5 anni di cui almeno 3 nel quinquennio antecedente la data di decesso. Stiamo parlando di contributi versati dal lavoratore e ha tutta l’aria di un altro scippo volere legare la prestazione al valore dell’ISEE.
L’importo non è stabilito per legge (come ad es. per gli assegni familiari) ma è calcolato sulla base della pensione dovuta o in pagamento nella misura del 60% solo coniuge, 70% solo un figlio, 80% coniuge e 1 figlio ovvero 2 figli senza coniuge, 100% coniuge e 2 o più figli ovvero 3 o più figli, 15% per ogni altro familiare, avente diritto, diverso da coniuge, figli e nipoti. Aggiungiamo che chi è titolare di assegno o pensione sociale, nel momento in cui diventa titolare di pensione ai superstiti, perde il diritto a tali prestazioni.
Infine la pensione ai superstiti cessa in caso di nuovo matrimonio (non in caso di “unione civile”), di raggiungimento della maggiore età, in caso di perdita dello status di studente (interruzione degli studi o attività lavorativa). Da tenere presente che il figlio studente che, al momento del decesso del genitore, svolge attività lavorativa, non ha diritto ad alcuna percentuale della prestazione, mentre essa viene sospesa in caso di attività lavorativa successiva al decesso.
Quali sarebbero, dunque, le “anomalie” riscontrate dal governo? Certo, in un Paese che invecchia ci sta che le pensioni ai superstiti aumentino ma la lotta alla povertà non può essere condotta penalizzando ancora una volta una categoria di pensionati, in massima parte donne.
E’ questa la unica e vera “situazione anomala”!