Alla fine degli anni Ottanta l’Italia sembra destinata ad una lenta trasformazione in direzione di una sempre maggiore laicizzazione del potere. Liberare i costumi per adeguarli all’edonismo del nuovo liberismo, favorire una seconda e più profonda “americanizzazione” degli stili di vita diventa un’esigenza sempre più forte e l’ascesa di Craxi si innesta in questo contraddittorio processo.
E invece nei primissimi anni Novanta si registra una rottura repentina degli equilibri di potere. La caduta del blocco sovietico ha come conseguenza la perdita per il nostro paese della sua connotazione di terra di confine, che aveva avuto a partire dalla fine della Seconda Guerra mondiale. Il quadro politico internazionale cambia troppo rapidamente. L’Italia di fatto non regge e attraversa una crisi economica, politica, sociale e morale. Una tempesta innestata da Mani pulite, scossa dalle bombe mafiose e dal tracollo della lira e da una profonda crisi del sistema economico basato sulle piccole imprese.
È in questa complicata fase che la Cgil, dopo le difficoltà del decennio precedente, cerca di tornare a puntare sulla sua natura contrattuale. Il tentativo ha però almeno due resistenze. La prima è la totale crisi di credibilità della politica che chiama nuovamente i sindacati a compiti di responsabilità generale. La seconda, e forse più importante, risiede nella volontà delle classi dominanti di tornare a dare ai sindacati un ruolo contrattuale solo dopo essersi garantite la subordinazione dei salari ai profitti. È su queste basi che il 31 luglio 1992 Cgil, Cisl e Uil firmano un accordo col governo che abolisce definitivamente la scala mobile e blocca per un anno la contrattazione collettiva. La portata dell’accordo è storica come dimostra il fatto che il segretario generale della Cgil Bruno Trentin decide di dimettersi il giorno dopo la firma con queste parole: “Vi confermo la mia decisione, che ho comunicato ad alcuni di voi nella riunione di questa sera a Palazzo Chigi, di rimettere al comitato direttivo della Cgil il mio mandato di segretario generale e di membro della segreteria nazionale. (…) Questa mia decisione - prosegue Trentin - è dettata in tutta serenità dalla duplice e contraddittoria convinzione di avere operato per l’accettazione del testo finale del protocollo presentato dal presidente del consiglio, allo scopo di scongiurare l’impatto simultaneo, sui lavoratori e sull’opinione pubblica, in una situazione già così drammatica per il paese, di una possibile crisi di governo, di una frattura dei rapporti fra le tre confederazioni sindacali e di una crisi grave nei rapporti unitari in seno alla Cgil; e, nello stesso tempo, di avere così disatteso il mandato, da me stesso sollecitato, di acquisire dal governo alcune modifiche sostanziali del testo da questi predisposto, in modo particolare per quanto attiene alla salvaguardia, anche nel corso del prossimo anno, della libertà di contrattazione nell’impresa e nel territorio’’.
Un anno dopo, con la firma dell’accordo interconfederale del 23 luglio 1993, viene definitamente varata una politica dei redditi, orientata al contenimento (o meglio all’erosione) salariale, come base per il controllo dell’inflazione e il rilancio della competitività del sistema delle aziende italiane. Non solo, prende infatti avvio la stagione della concertazione in cui i sindacati confederali accettano di collaborare con il governo per garantire di fatto la subalternità del lavoro alla compatibilità dell’impresa. Siamo al ribaltamento della teoria dei salari come variabile indipendente del capitale, e il profitto viene elevato a interesse generale.
Una volta definiti i confini entro il quale il sindacato è costretto a muoversi, i sindacati ottengono nuove regole per la loro azione contrattuale nazionale e aziendale. Torna ad assumere centralità il contratto nazionale di categoria. Il doppio livello di contrattazione prevede infatti sia il CCNL a predeterminare la definizione di ambiti, tempi, materie e istituti del contratto collettivo aziendale. I sindacati ottengono anche un altro elemento di democrazia sindacale attraverso la realizzazione di rappresentanze sindacali unitarie (RSU) in tutte le organizzazioni produttive con più di 15 dipendenti.
Il sindacato esce dalla crisi dei primi anni Novanta, dunque, con una ridefinizione del proprio ruolo e del proprio campo di intervento. Assetto che però mostrerà rapidamente la propria insufficienza di fronte all’emergere di una sostanziale precarizzazione dei rapporti di lavoro.
Nello stesso periodo avviene un’altra trasformazione tutta interna alla CGIL. Finita l’epoca delle correnti di partito e sulla scia del movimento degli autoconvocati della seconda metà degli anni Ottanta, prende campo nell’organizzazione un nuovo modo di discutere e di organizzare il dissenso: le aree programmatiche su base confederale. Al Congresso del 1991 per la prima volta viene proposto un documento alternativo sostenuto da Essere Sindacato che si basa proprio sul rifiuto dello scambio nuova occupazione-riduzione salario e ribaltamento della gerarchia sindacale verso un modello consiliare. Sarà proprio la pratica dei documenti alternativi nata in quegli anni a caratterizzare il dibattito interno in CGIL per il decennio successivo.