Costituzione e antipolitica, il binomio che porta al disastro - di Gian Marco Martignoni

Le ragioni del ‘No’ alla riforma Renzi-Boschi in un libro di Mario Dogliani

Per smascherare le ingannevoli e risibili argomentazioni dei sostenitori del Si al referendum del 4 dicembre, può essere utile affidarsi alle lettura del libro “Costituzione e antipolitica” (pagg. 224, euro 13.00, Ediesse) di Mario Dogliani, professore emerito di Diritto costituzionale all’università di Torino, in particolare per l’approccio storico che lo contraddistingue.

Ne vale davvero la pena, perché Dogliani preliminarmente suddivide la storia della Repubblica in due fasi fondamentali: la prima (1948-1998) decisamente caratterizzata dall’attuazione del dettato costituzionale, attraverso riforme legislative socialmente avanzate (dallo Statuto dei lavoratori all’istituzione del Servizio sanitario nazionale, ecc) grazie alla spinta e alle lotte del movimento operaio; la seconda (dal 1979 ad oggi ) segnata, invece, dall’affermazione di una perniciosa “retorica della riforma costituzionale” in concomitanza con il dilagare dell’egemonia neo-liberista e la progressiva messa in discussione delle conquiste realizzate in quegli anni.

Infatti, dall’eccesso di democrazia teorizzato dal Rapporto della Commissione Trilaterale, passando per il piano della P2 di Licio Gelli e il decisionismo craxiano, l’ideologia delle governabilità, propugnata senza alcuna remora dalla destra economica e politica, ha poi travolto ogni argine: cosicché, grazie all’incredibile abiura compiuta dal gruppo dirigente dell’ex partito comunista, è con il referendum del 1993 che si materializza, attraverso il superamento del sistema elettorale proporzionale, il primo attentato all’integrità dei principi racchiusi nel testo costituzionale.

Si tratta di un passaggio fondamentale e fin troppo sottaciuto nelle sue conseguenze devastanti per il mondo del lavoro e la difesa complessiva nello stato sociale, giacché vi è una palese contraddizione tra la corretta rivendicazione di una rappresentanza sindacale proporzionale e la connessa titolarità contrattuale, quando parallelamente la rappresentanza politica è alterata e artefatta dalla nefasta cultura dello spirito maggioritario.
D’altronde, il ventennio berlusconiano ha abbondantemente dimostrato come la preminenza accordata all’esecutivo, per via di quel premio di maggioranza che i comunisti avevano duramente combattuto nel 1953 nelle sembianze della famosa legge “truffa”, può svilire la centralità del parlamento, nonché permettere una dichiarata guerra aperta al potere giudiziario. Con tutti i guasti che ne sono conseguiti per la nostra democrazia, anche se, fortunatamente, la reazione del popolo italiano ha sonoramente bocciato la contro-riforma costituzionale avanzata a colpi di maggioranza nel 2006 da Berlusconi e Lega Nord, all’insegna di un presidenzialismo autoritario di un federalismo secessionista.

Purtroppo, seppur quel pronunciamento ha di fatto rilegittimato la Carta costituzionale, il governo Renzi, eterodiretto dal filo-atlantico Giorgio Napolitano, si è da subito distinto per un procedimento di revisione fatto male, ma soprattutto di rottura e di maggioranza, fondandolo sull’umiliazione reiterata delle funzioni del Parlamento, grazie alla stupefacente arrendevolezza dei presidenti della Camera e del Senato.

Dogliani, che è stato membro della Commissione delle riforme costituzionali istituita dal governo Letta, è più che lapidario sulle ragioni dell’arroganza renziana: “Si è andato progressivamente cementando un blocco affaristico-finanziario con contorni inquietanti, che ha imposto la scrittura del testo che ora ci troviamo a giudicare”.

Infatti, come Tsipras ha potuto misurare sulla sua pelle dopo il formidabile pronunciamento del popolo greco nel referendum indetto sulle politiche dell’austerità imposte dalla Troika, il finanz-capitalismo chiede che la politica abbia esclusivamente una funzione servente rispetto alle sue dichiarate finalità.

Tra l’altro, i ripetuti abbracci e sostegni da parte dei poteri forti - da Marchionne a Obama e finanche l’ambasciatore americano, le ingerenze di ogni tipo si sprecano -, la dicono lunga sul timbro impresso al combinato disposto contro-riforma costituzionale e Italicum.

Pertanto, come ha ben rilevato il filosofo Maurizio Ferraris nel recente pampleth “Emergenza”, la governabilità algoritmica richiede la massima velocità dei processi decisionali, quindi l’assenza di qualsiasi ostacolo all’azione degli esecutivi e la conseguente investitura di un capo eletto plebiscitariamente da parte del popolo; nonché la messa fuori gioco, come abbiamo verificato sul Jobs act, la buona scuola e quant’altro, di qualsiasi politica che abbia al centro il primato del lavoro e dell’eguaglianza.

In ultima analisi, stante che il documento redatto nel maggio 2013 dalla banca J. P. Morgan, puntando l’indice contro le costituzioni della periferia meridionale dell’Europa - poiché “influenzate dalle idee socialiste e dalle tutele costituzionali dei diritti dei lavoratori” - ha ben chiarito qual è l’essenza della cosiddetta “post-democrazia”, è evidente che il No al referendum del 4 dicembre, proprio per queste ragioni, assume una valenza doppiamente simbolica.

Mario Dogliani
COSTITUZIONE E ANTIPOLITICA
Ediesse editore, pagg. 224, euro 13.00


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