I camper sono partiti. Da Roma, Bari, Firenze, Milano, Napoli e Torino, tappe di apertura di un lungo viaggio attraverso l’Italia. Lo slogan è presto detto: “Con due Sì ai referendum popolari sul lavoro promossi dalla Cgil, tutta un’altra Italia”. Due sì contro l’infezione dei voucher nel corpo vivo del lavoro, della sua rappresentanza, e dell’essenza stessa della contrattazione. Contro la deregolarizzazione dei pur tenui fattori di solidarietà che hanno resistito nell’ingranaggio schiacciasassi di appalti e subappalti.
Nei giorni scorsi la Cgil ha chiesto a gran voce all’esecutivo Gentiloni, a 26 giorni dalla pubblicazione della sentenza della Consulta sull’ammissibilità dei quesiti referendari, di fissare la data della consultazione popolare. “Il governo fissi la data – ha puntualizzato Susanna Camusso - e la faccia coincidere con quella delle amministrative: abbiamo raccolto milioni di firme a sostegno dei quesiti per l’abrogazione dei voucher e per la piena responsabilità solidale negli appalti, i cittadini hanno diritto ad esprimersi, e un election day permetterebbe di non sperperare denaro pubblico”.
Il pressing del sindacato comprende anche gli incontri con i gruppi parlamentari, per sollecitare il Parlamento ad avviare la discussione sulla proposta di legge di iniziativa popolare sulla “Carta dei diritti universali del lavoro”. Eppure da Palazzo Chigi ancora si nicchia. Le voci del Transatlantico raccontano che si vorrebbe approvare una “leggina” sui voucher per depotenziare il quesito referendario ritenuto più pericoloso, dato che l’argomento è sempre più mediaticamente popolare. Sarebbe una scelta esiziale per chi, dai banchi del governo e della sua maggioranza parlamentare, ha il dovere di rispettare la legge istitutiva dei referendum popolari.