Cosa sarebbe successo se il Partito democratico avesse vinto il referendum costituzionale del 4 dicembre? Come nell’onirico ‘The man in the high castle’ di Philip Dick - tradotto in italiano ‘La svastica sul sole’ - vivremmo in un paese ben diverso da quello scampato alla furia ‘riformista’ di Renzi, Boschi & c. Non tanto per l’azione quotidiana di governo - visto che l’attuale esecutivo è chiamato scherzosamente ‘Renziloni’ - quanto per l’affermazione di una nuova architettura dello Stato. Snella, rapida, ultradecisionista. Una manna per chi occupa le stanze dei bottoni, e per le banche d’affari come Jp Morgan. Renzi siederebbe a Palazzo Chigi, incollato alla poltrona di presidente del consiglio con il bostik, le opposizioni sarebbero state ridotte a ben poca cosa, visti i meccanismi elettorali dell’italicum, legge che la Consulta avrebbe avuto più remore a disciplinare.
L’ex ragazzo di Rignano sull’Arno sarebbe passato alla storia del paese, e perfino del continente. Dopo la terza via blairiana, la quarta via renziana, nel segno del finanzcapitalismo. Una pagina di storia che però non è mai stata scritta, e se qualcuno un giorno volesse farne un racconto, il libro verrebbe messo lì, nel mezzo fra ‘Fatherland’ di Robert Harris e ‘Viaggio al centro della terra’ di Jules Verne, celebri romanzi ucronici, vere e proprie opere cult per gli amanti del genere.
Invece il 4 dicembre la Costituzione repubblicana, nata dalla Resistenza al nazifascismo, è stata salvata, i cittadini elettori hanno smontato il perverso meccanismo che avrebbe stravolto gli assetti istituzionali del paese. Matteo Renzi deve ricominciare da capo, come nel gioco dell’oca quando il lancio dei dadi ti porta nella casella sbagliata.
All’origine dell’ascesa del paffuto presidente provinciale fiorentino ci furono le primarie, la sua riconquista del potere riparte dalle primarie. Per tornare a Palazzo Chigi con una investitura popolare. I primi risultati del voto nei circoli di partito lo danno in netto vantaggio sugli sfidanti Andrea Orlando (che sarà votato anche da Enrico Letta) e Michele Emiliano (che è rimasto nel Pd, ma senza Bersani, Rossi & c., usciti dal partito per formare Articolo1 - Movimento dei democratici e progressisti). Se ci fosse stato qualche dubbio sul fatto che la scissione avrebbe indebolito il Pd ma rafforzato Renzi, i freddi numeri confermano questa ipotesi. Con tanti saluti, se questi risultati parziali dovessero essere confermati, all’idea che il Pd possa cambiare linea politica. D’altra parte l’appoggio al governo Gentiloni dei cosiddetti scissionisti di Mdp fa capire che la rottura è stata più personale che politica, più tattica che strategica. Anche se la politica, si sa, è l’arte del possibile.
Nello scacchiere italiano sarà poi interessante studiare le mosse dell’eterno Silvio Berlusconi. Riuscirà l’ex Cavaliere a riunire per l’ennesima volta il centrodestra, da Alfano e Verdini a Salvini e Meloni? Per i bookmaker e gli scommettitori la sfida è avvincente. Il protagonista ha più di ottant’anni, e al momento non può essere candidato per i suoi guai giudiziari. Però Mr B. è stato dato politicamente per morto tante volte e altrettante volte è risorto, dall’alto del suo impero mediatico economico. Per certo i sommovimenti nella sua area di riferimento, da qui alle elezioni del 2018, saranno da seguire con grande attenzione. Perché i numeri dicono che in Germania, alle elezioni del prossimo settembre, potrebbe essere riconfermata la grande coalizione. Si spiega così perché il democristiano Renzi rivendichi con orgoglio l’entrata del suo Pd nella grande famiglia del socialismo europeo. Nel Pse si può finire, anche se non vi si è nati. E poi, a guardar bene, dopo le prime perplessità, Forza Italia è stata accolta trionfalmente nel Partito popolare europeo. La grande coalizione è un’ipotesi, concreta, che nasce da questi dati di fatto. Oltre ad essere un eccellente strumento per la rivincita di chi ha perso il referendum costituzionale ma non ha alcuna intenzione di farsi da parte.
Entro qualche settimana i giochi nel Partito democratico saranno fatti, avranno votato sia tesserati che simpatizzanti. E se il combinato disposto delle due votazioni farà trionfare - come tutto lascia pensare - l’ex presidente del consiglio, la prima metà del puzzle sarà composta. E sarebbe divertente vedere meccanismi analoghi nella scelta del leader del pur variegato campo del centrodestra. Fra Alfano, Salvini, Meloni e l’ex Cavaliere, scommettiamo che vince quest’ultimo? Andrà a finire che il patto del Nazareno entrerà nei libri di storia, al pari dei patti Lateranensi.