Dopo le primarie del Pd non ci sono le medie, chi viene promosso governa direttamente il partito. Matteo Renzi parla dal palco allestito in casa Pd, nel Largo del Nazareno. E come il Nazareno - che però è un po’ più famoso di lui - indica la strada al suo popolo. In tv gli opinionisti cercano di creare un minimo di suspense. Ma è difficile, una missione impossibile. Silvio Berlusconi non ha mai voluto fare le primarie, le considera lesa maestà, eppure vincerebbe in carrozza. Mentre Renzi chiede il plebiscito. Un po’ come la regina Grimilde: “partito, partito delle mie brame chi è il più votato del reame?”. Né Andrea Orlando, né tantomeno, Michele Emiliano assomigliano a Biancaneve. Tant’è. L’ex premier di Rignano sull’Arno è caduto rovinosamente sul referendum costituzionale, aveva bisogno di rivitalizzare il partito - e se stesso - con una fioritura primaverile di gazebi. Il popolo dem, e magari qualche simpatica canaglia cui non pesano i due euro di obolo per il partito, si è messo disciplinatamente in fila per votare. Da qualche parte - nello specifico in Sicilia, dove il trasformismo può diventare un’esigenza economica - hanno chiuso anzitempo un paio di gazebi perché era arrivata brutta gente. Può succedere, era già successo.
A volte ritornano, come nei racconti di Stephen King. Dal passato molto prossimo - e non certo archiviato - del Pd riappare, nella cornice di Largo del Nazareno, Renzi. Il suo popolo lo acclama, questa volta ha vinto, la disfatta di dicembre è più lontana. Un bagno di folla identitario, che rivitalizza il re ed elettrizza i sudditi. Un’eco lontana, forse tutto ciò che rimane, delle vecchie manifestazioni di partito. Quelle che si facevano ogni anno per conservare poi la foto appesa al muro della cucina. E magari poter dire “io c’ero”. Sventolano i tricolori del partitone, Renzi stringe mani, dispensa sorrisi, si fa fotografare a destra e a manca. Sette simpatizzanti del partito su dieci hanno votato lui. Quasi due milioni di italiani sono andati ai gazebo, non era scontato. Sarà pur vero che nel 2007 erano stati molti di più a rispondere alla chiamata, e anche nel 2009 e nel 2013. Ma di questi tempi coinvolgere così tanta gente non è facile per nessuno. Non esiste un pifferaio di Hamelin, un pifferaio magico, capace di incantare un popolo disilluso e piegato da dieci anni di crisi. Non ci riesce nemmeno Beppe Grillo con le sue uscite da bar, né tantomeno Berlusconi, a cui i figli hanno sequestrato la carta di credito. Così la “grande partecipazione democratica” riempie la bocca di tutti i dirigenti del Pd. A loro il vecchio/nuovo segretario assicura fama e fortuna, “fame and fortune” come cantava Elvis Presley.
Il Pd volta (si fa per dire) pagina e resta al centro dello scacchiere politico. Chiunque abbia qualche progetto in vista delle elezioni politiche del prossimo anno dovrà fare i conti con lui. E lui, Renzi, sembra assecondare un sistema elettorale che armonizzi le due leggi filtrate dalle decisioni della Corte Costituzionale, un sistema sostanzialmente proporzionale con uno sbarramento al 5%. Giuliano Pisapia è avvertito, Pierluigi Bersani ha smesso da tempo di farsi illusioni. Ora si guarda al prossimo passaggio, le elezioni amministrative di giugno e le regionali in Sicilia. Con gli occhi rivolti a quello che succederà di qui a poco nei principali paesi europei. In Francia Renzi tifa da sempre Emmanuel Macron, in Germania Angela Merkel anche se non lo può dire chiaramente, quanto all’Inghilterra la Berxit ha tolto l’intero Pd dall’imbarazzo di dover strizzare un occhio al socialista Jeremy Corbyn.
Il nuovo inizio del Pd, così è stato definito dal diretto interessato, è pronto in tavola, ma il sapore è quello ben conosciuto delle vecchie portate. A tal punto che nei palazzi del potere, dove le movenze felpate del governo Gentiloni sono state apprezzate, c’è chi si chiede apertamente se l’ex ragazzo di Rignano sull’Arno abbia la stoffa per tornare ad essere il presidente del Consiglio dei ministri. Renzi ha rotto troppi piatti in cucina per poter tornare ai fornelli di palazzo Chigi come se nulla fosse. Ma in politica è inutile predire il futuro, specie in quella italiana, in un periodo in cui la mobilità elettorale è diventata la variabile per eccellenza: chi avrebbe mai potuto dire, solo dieci anni fa, che un comico avrebbe fondato un partito capace di conquistare il 25-30% dei consensi? All’epoca, se ricordate bene, si vagheggiava il bipartitismo a stelle e strisce. Su queste basi era nato il Pd con l’“americano” Walter Veltroni alla guida, su queste basi Silvio Berlusconi era salito sul predellino della sua auto blu impegnandosi ad unire la destra, o come li chiama lui i “moderati”. Ma il diavolo forgia le pentole dimenticandosi i coperchi. Renzi a dicembre non ha vinto ora ritenta, come quando si comprano i Boeri.