L’ultima frontiera della politica italiana è anticipare le elezioni di quattro mesi, e venderlo come il salvataggio della patria in pericolo. Se è stato creato il mondo in sette giorni, figuriamoci quante cose si possono fare in quattro mesi. Ma non sarà il governo Gentiloni a realizzarle, tutt’al più potrebbe metterle in cantiere per un futuro al momento remoto.
C’è chi dice che Matteo Renzi non voglia lasciare l’amico Paolo a palazzo Chigi, perché ogni giorno che passa la sua popolarità - almeno fra i padroni del vapore - aumenta. Anche lo specchio di casa Renzi (‘specchio, specchio delle mie brame...’) ha dato una risposta che non è piaciuta all’ex ragazzo di Rignano sull’Arno. Ma come? Io ho trionfato alle primarie, e il più amato del reame è diventato Gentiloni? Non sia mai. Nervoso come la regina Grimilde quando viene a sapere dell’esistenza di Biancaneve, il re del Nazareno è subito corso ai ripari e si è accordato con il vecchio re di Arcore, e poi con l’ex comico genovese diventato a sua volta re (del web). Il patto dei tre re - sembra un romanzo di Tolkien - ha risvegliato il drago che incendierà la legislatura.
Un soffio infuocato e bye bye Gentiloni, Alfano, Minniti. Squadra che vince non si cambia, aveva pensato Renzi subito dopo la sua personale Caporetto referendaria. E pazienza se il governo Renzi non è certo passato alla storia per essere stato popolare. Fra voucher, job act e buona scuola era quasi riuscito nell’impresa di fare rimpiangere la Fornero, la sua riforma delle pensioni.
Del resto il Parlamento 2013-2017 sarà ricordato come uno di quelli meno votati dai cittadini elettori, nemmeno Vasco Rossi con ‘Vado al massimo’ (Sanremo ‘82) aveva preso così poche preferenze. Quasi tutti nominati gli onorevoli nel Grande fratello della politica italiana, potrebbero finire in nomination, come nell’Isola dei famosi. Ma la scialuppa di salvataggio è già pronta, nascosta nelle pieghe della nuova legge elettorale, sotto forma di mini-liste bloccate. Non è facile combattere contro la forza dei numeri: se le tre principali realtà politiche del paese (quattro con la Lega) si trovano d’accordo su un sistema di voto, non si può certo gridare allo scandalo perché la democrazia è stata ferita. D’altronde le frittate si fanno con le uova che ci sono in frigorifero. Lo chiameremo ‘pastrocchium’ - un pezzo di sistema tedesco con una robusta aggiustatina all’italiana per spingere i cittadini elettori a non disperdere il voto. Voti utili a chi ne ha già tanti.
Si dice in giro che questo particolare meccanismo sia stato imposto da Renzi in persona. Orfano del maggioritario, il segretario piddino si potrebbe consolare raccogliendo i ‘like’ di tanti italiani che - come ebbe a dire Indro Montanelli - devono turarsi il naso e votare per il ‘rinnovamento nella continuità’, cioè per il partitone tricolore. Per arginare i pericoli verdi: quelli del Berlusconi neo-animalista, e dei cinque stelle con un solo Grillo per la testa. Dunque tapparsi il naso e votare Dc, cioè Pd. Renzi tratteggia il suo futuro, già si vede vicino al francese Macron. Il centro, come il banco, vince sempre. In Italia come in Europa, tutto il mondo è paese. L’ex premier aspetta il suono della campanella della fine della legislatura. E pazienza se il suo padre putativo Veltroni si è risentito. Il sogno di Walter l’americano l’ha rovinato Grillo, era il bipartitismo ma in Italia è arrivato il Movimento Cinque stelle. Sarà per un’altra volta.
I tre re hanno deciso che si voterà con il ‘pastrocchium’. A proposito, a Montecitorio la discussione generale sulla legge elettorale si è aperta nel deserto dei Tartari di buzzatiana memoria. Presenti sette parlamentari su seicentotrenta, poco più dell’1%, Nanni Moretti commenterebbe che si notavano di più quelli che non c’erano. Una figuraccia immortalata in impietose immagini, ad uso e consumo delle barzellette sui parlamentari italiani che passerebbero la loro vita a far tutto fuorché il proprio lavoro. Ma nonostante il caldo già estivo, questa volta i grilli della politica non possono frinire, perché non c’erano nemmeno loro alla Camera. Hanno ‘bucato’ l’appuntamento tutti insieme appassionatamente, da destra, dal centro, da sinistra. Più visitatori sulle tribune che parlamentari in Aula, nel Transatlantico si sentiva l’eco.
Ma la legge non scritta della Camera dei deputati racconta ‘no voto, no party’, come George Clooney nella pubblicità del Martini. Gli attivisti accorsi al presidio in piazza di Montecitorio, per protestare contro un testo di legge che con il voto congiunto favorisce il voto utile per i maggiori partiti, erano molti, molti di più, degli onorevoli.
La ‘noblesse’ è stata quella di animo, dei contestatori tetragoni nel chiedere di poter votare liberamente il partito e il candidato preferito.