Ho seguito due vertenze entrambe nate dalla necessità di gestire le conseguenze dell’intervento della legge Fornero sui rapporti di collaborazione. L’alternativa alla vertenza collettiva sarebbe stata la gestione per via giudiziale del contenzioso di ogni singolo lavoratore per il riconoscimento del rapporto di lavoro dipendente e per il risarcimento monetario del pregresso.
Il primo caso. Il 17 luglio la Filcams e il Nidil, insieme alla Fisascat e a Ferpa, a UILTrasporti e Uiltemp@ hanno siglato un accordo per la confluenza dei lavoratori del settore della distribuzione di depliant pubblicitari nel Contratto collettivo nazionale del settore Multiservizi. L’accordo prevedeva la regolarizzazione dei lavoratori del settore, sino a quel momento assunti con contratti di collaborazione e come partite IVA con il loro progressivo inserimento nel contratto Multiservizi. Il classico contratto di emersione.
Nel caso in questione, la trasparenza e la legalità sono state questioni decisive nell’indurre l’associazione padronale Anad a ricercare un’intesa con il sindacato. Le imprese avevano la necessità di non disperdere la professionalità delle persone che lavoravano per loro e volevano regole certe nei confronti della committenza, eliminando la concorrenza sleale delle squadrette che operano a nero e senza regola alcuna.
La mancanza di regole di mercato e l’impossibilità di imporre alle aziende committenti (le grandi aziende della moderna distribuzione organizzata) il rispetto nell’affidare le commesse del contratto collettivo di lavoro per i dipendenti delle aziende di distribuzione pubblicitaria, hanno prodotto il paradosso di provocare la crisi nelle aziende che il contratto applicano e il rapido ritorno nel settore a forme di lavoro precarie e senza garanzie. E’ successo che lavoratori finiti licenziati abbiano ritenuto il sindacato (che li aveva fatti regolarizzare) responsabile della loro sorte!
Il secondo caso, una azienda leader nel settore del rilevamento prezzi al consumo (la Consulmarketing) nella quale la “regolarizzazione” era avvenuto con la stipula di un accordo “di prossimità” applicativo con deroghe del CCNL ANASFIM, firmato il 7 dicembre 2012 da Fisascat e UILtucs. L’accordo prevedeva il sottoinquadramento permanente e un orario di lavoro full-time superiore alle 40 ore settimanali. Per sovrammercato, la settimana successiva, un accordo applicativo aziendale era stato firmato da un sindacato autonomo. In questo caso, come FILCAMS siamo intervenuti conquistando nel luglio 2014, grazie al sostegno dei lavoratori e a rappresentanze sindacali aziendali molto combattive, un successivo accordo che comportava l’equiparazione degli orari di lavoro e delle retribuzioni a quelle del CCNL del commercio, entro il dicembre 2018. L’azienda, facendosi scudo della “impossibilità” di imporre al committente (la Nielsen) il rispetto delle tariffe contrattuali nel calcolo del costo della commessa, ha provveduto a licenziare quest’anno l’intero organico di settore e sta assumendo personale con contratti di collaborazione e/o partita IVA. [a pagina 3 riproduciamo l’articolo che “sinistra sindacale” nel numero 9 del 7 maggio di quest’anno ha dedicato alla vertenza: Consulmarketing, ti caccio e ti riprendo. Precario di Frida Nacinovich]
L’accordo ANAD è stato firmato con l’obiettivo di impedire licenziamenti e di estendere diritti e tutele a lavoratori che fino a quel momento ne erano privi. Anche l’accordo separato ANASFIM per i lavoratori di Consulmarketing e il successivo accordo, migliorativo del primo, firmato dalla FILCAMS, avevano lo stesso obiettivo.
Il bilancio di queste due esperienze è che la contrattazione – che per noi era e resta la strada maestra per affermare il rispetto e conquistare nuovi diritti e tutele – non è sufficiente a dare garanzie ai lavoratori. La contrattazione in deroga, spesso, non costituisce un punto di partenza verso nuovi passi in avanti, ma solo la registrazione di una non applicazione erga omnes dei contratti collettivi.
Le previsioni dell’articolo 8 della Legge 148 del 2011 si confermano una iattura e uno strumento contro il lavoro, ma la mancanza di una legislazione che riconosca la validità erga omnes dei contratti collettivi resta una lesione della potestà contrattuale e della legittimità dell’azione sindacale.
O riconquistiamo un quadro legislativo favorevole alla causa del lavoro oppure la nostra prospettiva potrebbe diventare quella di un sindacato di agitazione sui temi generali e di battaglie aziendali e corporative nella vita quotidiana. La Carta dei diritti – e la scelta di promuovere i quesiti referendari – non vanno considerati come accadimenti straordinari e irripetibili, ma come elementi di una nuova collocazione sociale del sindacato italiano. Lo stesso vale per la politica: la Cgil non può sottrarsi: deve aprire, nel prossimo percorso congressuale che si concluderà entro la fine del 2018, un confronto plurale e unitario anche sull’autonomia e sul rapporto con la politica e con i partiti, consapevoli del bisogno di una sinistra politica di massa che abbia al centro il lavoro. Sono questioni dirimenti e strategiche per l’organizzazione.