"Mafia Capitale": la distruzione della politica, dei partiti, della democrazia - di Gian Marco Martignoni

In libreria “La resa dei conti” di Beppe De Santis

Tra le innumerevoli pubblicazioni che hanno affrontato il tema scottante di “Mafia Capitale”, merita una segnalazione particolare La Resa dei Conti di Beppe De Santis (edizioni Arianna, pagine 212, euro 12,00) poiché con una formidabile ricostruzione storica del quarantennio che ci sta alle spalle, mette a nudo le gravi responsabilità politiche che hanno favorito una degenerazione di tale portata.

Beppe De Santis ha vissuto in prima linea da studente universitario l’esperienza unitaria della formazione delle Leghe dei disoccupati a metà degli anni ‘70 ed ha partecipato al movimento del 1977 nelle fila della Fgci romana, per poi assumere un ruolo importante e delicato nella Funzione Pubblica di Palermo, inviato in quella città direttamente da Bruno Trentin.

Essendo, quindi, stato interno sia al Partito Comunista, sia al movimento sindacale, pur non sottovalutando quanto sta emergendo dalle indagini in capo alla Procura della Repubblica, diretta dal dottor Giuseppe Pignatone, fa dipartire la sua analisi da una domanda tutt’altro che peregrina: come è possibile che da amministratori del valore di Carlo Maria Argan, Luigi Petroselli e Ugo Vetere, siamo passati ad essere dominati dal sindaco-ombra “Er cecato”, all’anagrafe Massimo Carminati; ovvero “un terrorista nero, assassino, ladro, rapinatore, ricattatore, millantatore, mafioso, nonché filosofo del mondo di mezzo”?

Una domanda che, spezzando il velo dell’ipocrisia, chiama in causa chi ha sciaguratamente dilapidato quel patrimonio amministrativo, sulla scorta dell’ubriacatura neo-liberista che ha contagiato l’ex sinistra storica.
Insomma, se oggi dobbiamo fare i conti con gli umori di Matteo Renzi e della sua corte, dobbiamo riconoscere che il dominio incontrastato esercitato dal clan Veltroni-Bettini sulla Regione Lazio e sulla città di Roma ha concorso in maniera determinante a quella mutazione genetica avviata da Achille Occhetto con la Bolognina del 1989.

Sulla scalata del potere da parte di Walter Veltroni in un partito storicamente strutturato sulle grandi “famiglie”, nel mentre si dissolveva quell’insediamento di popolo fortemente radicato in ogni quartiere romano, De Santis ci fornisce una puntuale descrizione, sottolineando cosa ha significato nell’immaginario collettivo la scelta del partito leggero e della personalizzazione della politica, tutta incentrata sulla centralità assegnata al mezzo televisivo.

Come è noto, Veltroni, a metà del secondo mandato, abbandona nel 2008 il ruolo di sindaco, in quanto dopo aver conquistato nel 2007 la guida del partito con il memorabile ma ingannevole discorso del Lingotto “Un Italia unita, moderna e giusta”, tenta l’assalto a Palazzo Chigi, sfidando l’inossidabile Silvio Berlusconi. Senonché i suoi piani falliscono miseramente, sia sul versante nazionale che su quello romano, giacché se da un lato Berlusconi rilancia alla grande il centro-destra, dall’altro lato il post-fascista Gianni Alemanno sbaraglia l’apparentemente telegenico ma impresentabile Francesco Rutelli.
D’altronde, quando si riduce nella logica maggioritaria un partito a puro e semplice comitato elettorale, lasciando campo libero amministrativamente al clan politico-criminale diretto da Buzzi e Carminati, si può comprendere come “Mafia Capitale” altro non sia che “il prodotto della distruzione della politica, dei partiti, della democrazia”.

Ecco per quali ragioni, dopo il maldestro defenestramento del non governabile Ignazio Marino, la totale delegittimazione della sinistra riformista agli occhi del suo popolo, ha propiziato la clamorosa ascesa del M5S, proprio a partire dalla capitale d’ Italia, mentre ora il dilagare dell’ astensionismo nelle recenti amministrative ha ridato fiato alle peggiori pulsioni di un centro-destra trainato dall’esplicito razzismo della Lega Nord.


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