Il '17 "come simbolo e come esempio" - di Maria G. Meriggi

Per scrivere del rapporto fra il 1917 – e le due fasi della rivoluzione russa – e i movimenti sociali e politici in Europa fra il ‘17 e il biennio postbellico – si potrebbe usare la formula già usata per la Comune: una funzione di simbolo e una di esempio. L’uso del ‘17 come esempio presuppone una almeno minima conoscenza diretta delle vicende e se ne può dunque parlare solo a partire dalla fine della guerra.

Nel corso del ’17, a mettersi in moto sono migliaia e migliaia di lavoratori di diverse generazioni e provenienze. Molti di essi erano appartenenti a quei partiti socialisti lacerati dalle scelte di guerra ma altri erano disorganizzati. L’insurrezione, la caduta del regime zarista e le promesse di pace dei bolscevichi diventano rapidamente simbolo di una possibile radicalizzazione delle diffuse proteste operaie e popolari del ’17, senza bisogno di una conoscenza precisa degli eventi russi.

La guerra coinvolge lavoratori che fanno parte di comunità nazionali e di movimenti sindacali e politici con tradizioni, con radicamento e culture politiche molto diverse. Eppure il processo è lo stesso: dalle centinaia di ore di sciopero nel corso del ‘15 alle migliaia di ore nel ‘16 ai milioni del ‘17 cui contribuiscono non solo gli operai russi ma quelli tedeschi e italiani sottoposti a una convergenza particolarmente severa di divieti e di disciplinamento militare. Gli scambi con le famiglie nonostante la rigorosa censura divulgano le notizie dal fronte e le difficoltà delle donne a confrontarsi con le ingiustizie e le carenze di aiuti che pure rappresentano uno dei primi esperimenti di welfare universalistico anche in Germania e in Italia che si erano avviate in direzione di un welfare “lavoristico”. Le loro manifestazioni contro il carovita si congiungono con le proteste operaie in una continuità che dilaga sul territorio. Una efficace testimonianza di questa convergenza e di questo intreccio che preoccupa tutte le autorità dei paesi coinvolti riguarda la Russia del Febbraio ’17: il 23 masse di donne manifestano per «chiedere pane», gli scioperi si moltiplicano e le operaie vanno di fabbrica in fabbrica incitando i compagni a lasciare il lavoro. Il 24 «si fondono i due flussi originari degli eventi di Febbraio: lo sciopero delle Putilov si estende alle altre fabbriche e le donne continuano a occupare le posizioni d’avanguardia», mentre anche categoria tradizionalmente conservatrici come i vetturini rifiutano di trasportare il pubblico ma sono disposti solo a trasportare i «capi dei disordini»..

Sono interessanti anche le comparazioni fra i casi russo e tedesco, ma anche qui non si riscontra una “imitazione” da un “esempio” ma il convergere di processi analoghi in cui la ribellione dei giovani operai e dei soldati sfiniti dalle privazioni e dalla disciplina convergono nel creare analoghi istituti di governo locale pur promessi a un esito così divergente.

Nella sua prospettiva, segnata dal rapporto guerra-rivoluzione, un intellettuale liberale come Élie Halévy afferma una continuità tra il Febbraio e l’Ottobre. L’affermarsi del potere bolscevico è per lui una continuazione dell’opera delle forze sociali e nazionali che si confrontano nel conflitto mondiale, che prolungano la guerra stessa oltre i primi trattati di pace e scuotono gli equilibri delle società europee». Gli aspetti che fanno del ‘17 non solo una svolta nella guerra ma il vero e proprio inizio del XX secolo con le sue speranze e tragedie non sono rappresentati solo dalla mossa sorprendente della pace di Brest Litovsk. Con la forza simbolica del ‘17 e i conflitti e gli scioperi che attraversano i paesi in guerra senza distinzioni di blocchi o di alleanze tutti i protagonisti cominciano a preparare il Dopoguerra e gli operai con le loro nuove istituzioni aspirano al loro Dopoguerra, che non solo risarcisca il contributo di vite operaie e proletarie alla guerra ma riconosca loro un nuovo ruolo di potere che dalla società avrebbe dovuto conquistare le istituzioni. Una nuova mentalità si afferma, che non sempre si esprime nel successo elettorale dei partiti di sinistra ma è presente in ogni paese in forma di conflitti sociali che cominciano a far sperare – e a far temere d’altra parte – non solo nuovi rapporti di forza ma nuove forme di governo dei bisogni. Il caso italiano è significativo per il rapido, esemplare capovolgimento dei rapporti di forza e ci possiamo quindi riferire ad esso ricordando che episodi analoghi si verificano in tutta Europa. Del resto anche se in Italia come altrove la radicalizzazione porterà alla nascita del partito comunista queste speranze di costruzione di nuove istituzioni nate da esperienze collettive riguardavano anche i lavoratori non organizzati o quelli che resteranno nei partiti socialisti. Nelle lotte che precedettero e seguirono lo “scioperissimo” del luglio ‘19 si verificarono episodi molto significativi a questo proposito. Nel corso di manifestazioni contro il carovita, che come spesso in queste occasioni erano state tumultuose, i commercianti consegnavano le chiavi dei loro negozi alle Camere del Lavoro, soprattutto in Toscana e in Emilia. Contestazioni minacciose per imporre la riduzione dei prezzi negi stessi mesi videro protagonisti anche soldati che fraternizzavano con i manifestanti. Gesti e fatti che sembrano estendere al campo della vita quotidiana la formazione di nuove istituzioni che secondo un articolo di Gramsci del 21 giugno ‘19 avrebbero tradotto in una forma in cui l’associazionismo era centrale la costruzione di un nuovo Stato attraverso la diffusione di organismi elettivi in tutti i luoghi di lavoro.

La Russia di quegli anni dopo il Febbraio appare a molti fondatori del Pci come a dirigenti di base inglesi, sindacalisti d’azione diretta francesi o capitani rivoluzionari tedeschi il luogo dove quelle nuove istituzioni plasmano il nuovo Stato, dove «il Soviet si è dimostrato immortale come la forma di società organizzata che aderisce plasticamente ai multiformi bisogni (economici e politici) permanenti e vitali della grande massa del popolo russo» (7 giugno ’19). Affermazioni come queste possono prestarsi a considerazioni sulle realizzazioni controfinalistiche dello “Stato operaio” che esulano da questo intervento ma certo restituiscono aspirazioni autentiche, espressione di esperienze diffuse.


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