Il Sole dell'avvenire - di Maurizio Brotini

Valerio Evangelisti ci ha dato con il suo romanzo storico popolare Il Sole dell’Avvenire, uscito in tre tomi dotati di una relativa autonomia ma da leggersi unitariamente, un interessante e documentato spaccato, avvincente nei primi due volumi Vivere lavorando o morire combattendo e Chi ha del ferro ha del pane, delle vicende sociali e politiche post-Risorgimentali fino agli anni Cinquanta del Secolo scorso. Lo fa seguendo le vicende di alcune famiglie emiliano-romagnole, in partenza i Verardi ed i Minguzzi, che incroceranno i grandi passaggi della Storia. Al centro c’è una grande conoscenza storica della vita popolare dell’Emilia Romagna resa con grande capacità narrativa. Il terzo e conclusivo tomo, che va dagli anni Venti agli anni Cinquanta del Novecento lascia tuttavia un retrogusto amarognolo alla lettura. E’ a nostro avviso anche quello meno riuscito sul piano squisitamente letterario, in quanto l’Autore costruisce l’architettura del racconto su tre topoi (luoghi comuni) della tradizione antipatizzante dell’esperienza comunista italiana ed internazionale. Tanto era stato capace di descrivere in maniera corale le dinamiche sociali e politiche che avevano attraversato le espressioni mazziniane, repubblicane, anarchiche e socialiste restituite attraverso una efficace resa dei personaggi e delle loro relazioni, tanto costruisce in Nella notte ci guidano le stelle su Tito Verardi, fascista fiumano antiborghese, Destino Minguzzi, col cuore preso da una militante comunista resa macchiettisticamente e trascinato nella Spagna Repubblicana e Soviettina Merighi, per descrivere la pagina della Resistenza attraverso gli occhi della Banda Corbari.

Del fascismo si avvalora l’indimostrata e dannunziana posa di “cercar la bella morte” e della violenza come levatrice della Storia, nello specifico resa ancor più morbosa dal duplice suicidio mano nella mano con la sorella del padre Euletelia, una volta che un bacio li ha resi entrambi consapevoli dell’attrazione carnale che li univa.

E anche rispetto alla Guerra di Spagna si ripropongono le apodittiche letture della responsabilità comunista nel non aver perseguito nell’Europa della metà degli anni Trenta una ipotesi rivoluzionaria, classe contro classe, per la Spagna, con il corollario delle descrizioni simpatetiche per l’eroismo e spensieratezza dei militanti anarchici e del Poum a contrasto dei rigidi ed irregimentati dottrinari aderenti alle organizzazioni comuniste.
In questo, lo ammettiamo, la nostra simpatia va al Comandante Carlos del Quinto Reggimento.

La stessa scelta di raccontare la Resistenza attraverso la Banda Corbari, al netto della grandezza dei protagonisti - tra i quali giustamente spicca la figura di Iris Versari-, poggia sul posizionamento eterodosso, sia sul piano della cultura politica e soprattutto delle logiche operative, di detto raggruppamento.

Altra sarebbe stata la narrazione se si fosse fatto incontrare ai protagonisti della vicenda una figura come Arrigo Boldrini, il capo partigiano Bulow.

Se è condivisibile ed apprezzabile aver messo i risalto gli autonomi elementi di classe e di solidarietà, ovvero il gran mare delle aspettative di riscatto delle masse popolari e subalterne, che costituivano assieme alle strutture solidaristiche come le “cameraze” e le cooperative il brodo di cultura di tutte le espressioni della sinistra politica del tempo, meno condivisibile ed apprezzabile dal punto di vista politico e storiografico far risalire ai sostanziali tradimenti perpetrati dalle forze comuniste degli ideali rivoluzionari, questo in Spagna come nella Resistenza, del Sol dell’Avvenire..

Tale impostazione ideologica non giova alla struttura narrativa ed alla descrizione dei caratteri dei protagonisti di parte comunista, resi in maniera piatta, passiva, ottusa e sostanzialmente caricaturale.

La storia è sempre storia contemporanea, come ammoniva Benedetto Croce, e probabilmente questo assunto vale anche per i romanzi storici.
La sconfitta sul campo, almeno nella nostra parte di mondo, legittima purtroppo la riscrittura della Storia, con apparenti singolari convergenze tra punti di vista ideologici che dovrebbero essere antitetici.

I personaggi paradossalmente grandi pur nella differente posizione sono due morti, il suicida Tito e l’ucciso partigiano Corbari, come se non ci potesse esser grandezza se non nella sconfitta politico-esistenziale da chiudersi con una tragica morte, capace di accomunare gli antipodi.

Non resta comunque che invitare alla lettura della trilogia, confidando politicamente che il mondo del lavoro e delle classi subalterne possa ricostruire una adeguata rappresentanza politica salda ideologicamente e storiograficamente, magari facendo i conti, senza dismettere la prospettiva del cambiamento, con i mediocri e prosastici giorni che ci sono stati dati in sorte.


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