L'isola delle elezioni - di Frida Nacinovich

Seconda stella a destra, questo è il cammino. Il Pd di Matteo Renzi canticchia la canzone di Edoardo Bennato e battezza nelle trasparenti acque delle coste siciliane l’alleanza con Angelino Alfano. Una mossa obbligata, da ambo le parti. Quella che per gli americani (soprattutto per Cosa nostra) doveva essere la cinquantunesima stella da incastonare nella bandiera degli Usa, è diventata per il Pd la stellina polare che indica la direzione di marcia del partitone democratico. Al Lingotto di Torino i big (Chiamparino, Franceschini, Fassino, Serracchiani) erano stati chiari: l’alleanza con i moderati era la priorità. Lo è stata. Per giunta nell’isola bella Alleanza popolare porta in dote un non disprezzabile 8%, senza il quale il Pd sarebbe solo il terzo partito, dietro i cinque stelle e Berlusconi & c. C’è chi dice che Alfano volesse tornare a casa, in uno dei tanti appartamenti della villa di Arcore. In fondo si era separato dall’ex Cavaliere, ma le carte del divorzio non sono mai state firmate.

Il fascino delle poltrone ministeriali ha però avuto il sopravvento. Perfino il re delle televisioni ne sente tanto la mancanza. Angelino ne ha fatta di strada: guardasigilli con Berlusconi, ministro degli Interni con Renzi, ministro degli Esteri con Gentiloni, e pazienza se non è proprio mother tongue, quando si tratta di discutere di scenari internazionali con i colleghi francesi, tedeschi e spagnoli. Certo, dentro Ap il clan dei lombardi (Lupi, Formigoni, ecc) ha cercato fino all’ultimo di proporre il modello Maroni. La Lombardia è importante, ma pesa meno dell’Italia intera. E Matteo Salvini non è Roberto Maroni, lo sa anche Berlusconi che infatti non perde occasione per criticare il leader leghista, sotto gli occhi di una compiaciuta Angela Merkel. Le carte sono sul tavolo e tutto lascia pensare che la smazzata sarà identica quando, a primavera, gli italiani e le italiane andranno alle urne per le elezioni politiche.

Si voterà con il proporzionale, con le strane, sghembe leggi di Camera e Senato uscite dalle sentenze della Consulta. Ad Alfano & c basterà il 3% per entrare a Montecitorio, e un accordo tattico (regione per regione) per rientrare anche a palazzo Madama. In fondo il meccanismo di voto andrà bene anche a Forza Italia, che potrà scegliere fino all’ultimo momento se tenersi le mani libere o allearsi con Salvini (che non è Maroni) e la pasionaria nera Giorgia Meloni. Opzione, quest’ultima, che sta già facendo inorridire Berlino.
E le sinistre? Ahi, ahi, ahi. Quelli del movimento democratico e progressista (Bersani, D’Alema, Rossi, Speranza) non sanno che pesci pigliare. Vorrebbero seminare consensi elettorali nel campo progressista di Giuliano Pisapia, ma non piove da mesi e mesi.

Una siccità mai vista, che sta consigliando l’ex sindaco di Milano ad attingere alle acque della cisterna del Pd. Per giunta entro Mdp ci sono differenti sensibilità: Bersani pensa al governo, D’Alema a cancellare Renzi dalla faccia della politica, Rossi alla rivoluzione socialista. Troppe stelle nel cammino della neonata formazione dei transfughi del Pd per seguire un cammino lineare. Manca la stella polare, basta vedere come votano in Parlamento. Forse sì, forse no, forse esco dall’aula. E il decreto regalo a banca Intesa puntualmente passa.
La politica è anche questa, chi è senza peccato scagli la prima pietra. Intanto Renzi, che vede Mdp come il fumo negli occhi (scissionisti, vecchi arnesi della politica, comunisti…) non perde occasione per ribadire che per i traditori del partito l’unico futuro è in Siberia, senza smartphone né connessione a Internet. Insomma li vuole politicamente morti.

Più facile la strada per Sinistra italiana, che prima di nascere ha già perso metà del suo gruppo parlamentare sparso fra Pd (Migliore, Nardi), Mdp (Scotto, D’Attorre) e Campo progressista (Ferrara, Smeriglio). Gli altri tengono alte le rosse bandiere, e si barcamenano - con qualche mal di pancia - nell’impresa di costruire un Polo di sinistra seguendo il cammino tracciato al teatro Brancaccio da Tommaso Montanari e Anna Falcone. Fotografia ancora un po' mossa, ma abbastanza fedele dei quello che succede oggi in Sicilia e domani, probabilmente, in Italia.

Quelli che s’intendono di politica, gli addetti ai lavori, ricordano sempre che la Sicilia è un laboratorio. Anticipa, e amplifica, le future tendenze nazionali. A ben vedere anche la franca discussione interna fra le destre su chi debba essere il candidato governatore - l’ex missino Nello Musumeci per Fratelli d’Italia e Lega, l’ex assessore lombardiano Gaetano Armao per Berlusconi - fa capire quanti e quali problemi abbiano le destre prima di trovare la quadra. Ammesso che la trovino. Del resto lo scorso 10 agosto era troppo nuvoloso per vede le stelle cadenti.


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