“Alla campagna aderiscono, solo per citare alcune sigle, Cgil, Arci, Adusbef, Movimento Consumatori, Legambiente, Greenpeace, Slow Food International, Coldiretti, Federconsumatori, Acli Terra e Fair Watch”
Il Ceta, accordo di libero scambio tra Ue e Canada, dal 21 settembre scorso è entrato in vigore “in via provvisoria” per una decisione assunta, a suo tempo, dal presidente della commissione europea Jean Claude Juncker e dal premier canadese Justin Trudeau. Il tutto in attesa della piena validità, che scoccherebbe dopo l’approvazione di tutti i 28 parlamenti dei paesi Ue.
Il condizionale è fortunatamente d’obbligo, visto che pochi giorni dopo il “via libera provvisorio” la conferenza dei capigruppo del Senato ha rinviato la ratifica degli accordi internazionali definiti dalla commissione affari esteri. E fra questi accordi c’è naturalmente anche il Ceta, che è l’acronimo del Comprehensive economic and trade agreement. Così la ratifica, approvata il 27 giugno scorso dalla commissione, non è stata inserita nel calendario dei lavori dell’aula ed è slittata “sine die”. Probabilmente, secondo alcuni addetti ai lavori, entrerà nel calendario dopo l’esame della legge di stabilità.
Per i fan del Ceta la strada resta comunque in salita. Grazie al lavoro quotidiano degli attivisti della campagna Stop Ceta (tutte le notizie sono sul sito https://stop-ttip-italia.net), un nutrito gruppo di parlamentari ha ascoltato le ragioni degli oppositori. Così hanno costruito un intergruppo #NoCETA, che supera già i 50 appresentanti di tutti gli schieramenti (per l’esattezza 53, ma le adesioni aumentano di giorno in giorno). Nell’appello a tutti i parlamentari è scritto nero su bianco: “Chiediamo a chi ancora non ne fa parte di aderire al più presto all’intergruppo. Fermare la ratifica del Ceta deve essere una priorità di tutti i deputati e senatori che hanno a cuore l’interesse pubblico, oltre che il proprio elettorato”.
Per gli smemorati e i distratti, alla campagna Stop Ceta aderiscono, solo per citare alcune sigle, Cgil, Arci, Adusbef, Movimento Consumatori, Legambiente, Greenpeace, Slow Food International, Coldiretti, Federconsumatori, Acli Terra e Fair Watch. Un robustissimo gruppo di pressione, motivato dai tanti effetti potenzialmente disastrosi – sul piano dei diritti del lavoro come su quello della sovranità alimentare – di simili accordi commerciali, negoziati segretamente per mesi e mesi da Bruxelles, e con la costante interferenza delle grandi multinazionali.
Alcuni numeri. La rivolta popolare contro il Ceta ha già portato alla contrarietà di 14 Regioni, 1973 Comuni, e 69 Consorzi di tutela delle produzioni a denominazioni di origine. Nello stesso giorno in cui in Europa il Ceta è entrato in vigore in applicazione provvisoria, la città di Roma è stata dichiarata #StopCETA con un solo voto contrario (Pd) da una mozione multipartisan, sospinta insieme da forze politiche molto diverse fra loro come Si, M5s e Fdi. Dopo Roma, anche a Bologna e a Pisa è passata una mozione analoga, grazie agli sforzi dei consiglieri di sinistra (Una città in Comune e Rifondazione a Pisa, Sinistra Italiana a Bologna). Mentre altre forze politiche come la Lega Nord, sulla spinta della propria base elettorale, stanno rivedendo le loro posizioni inizialmente favorevoli al Ceta.
L’applicazione provvisoria, diretta conseguenza del via libera dell’Europarlamento di Strasburgo nel febbraio scorso (a favore sia Ppe che Psde oltre che i liberali dell’Alde, contrari la Linke e i Verdi) fa sì che restino in vigore alcune novità. Questo perché nell’accordo sono contenute normative di esclusiva competenza dell’Unione europea, mentre altre normative restano di competenza degli Stati membri. Le prime sono già in vigore, per le altre è necessaria la ratifica dei vari Stati.
Ad oggi, ad esempio, non è ancora applicata la contestatissima clausola Ics (Investors court system), che consente agli investitori canadesi (e nei fatti anche statunitensi) nell’Unione europea, ma anche agli investitori dell’Unione europea in Canada, di citare in giudizio uno Stato davanti a un tribunale “speciale” - non formato da magistrati e quindi assai permeabile da parte delle multinazionali - per ottenere il risarcimento dei danni dovuti a causa di una eventuale normativa che lederebbe i loro interessi. Al contrario, sul sito del Mise sono state già pubblicate le modalità per beneficiare delle preferenze tariffarie previste dall’accordo Ceta.
Per annullare tutto, l’unica strada resta quella della mancata ratifica da parte di uno dei 28 Stati dell’Unione. E l’Italia, grazie al lavoro degli attivisti della campagna Stop Ceta, è in prima fila nella protesta.