Part-time appalti scolastici: eliminiamo le discriminazioni - di Giorgio Ortolani

Più volte i compagni di Lavoro società, e non solo, hanno ribadito la necessità di ripartire da quelle che sono le condizioni reali di lavoro e le contraddizioni che vivono i lavoratori che rappresentiamo per recuperare quel rapporto di fiducia nei confronti del sindacato che va al di là della semplice iscrizione. Dirlo è facile, farlo un po’ più difficile, anche perché l’attenzione dei lavoratori si concentra sulle contraddizioni che vivono sul proprio luogo di lavoro, se non addirittura solo sui propri specifici problemi. Lavoratori e iscritti risulta-no spesso indisponibili a impegnarsi e spendersi per questioni di carattere generale. Oc-corre, quindi, che le scelte che facciamo siano mirate e partano da contraddizioni reali/ sentite dai lavoratori e possibilmente che vedano direttamente partecipi e protagonisti co-loro che vivono quelle contraddizioni.

Il settore delle lavoratrici (usiamo il femminile perché questo settore la manodopera è pressoché unicamente femminile) degli appalti scolastici conta decine di migliaia di lavo-ratrici e la Filcams-CGIL è presente con migliaia di iscritti. Con loro abbiamo un costante rapporto e non solo durante i cambi appalto. Non siamo però ancora riusciti a produrre una mobilitazione nazionale che affronti le due principali discriminazioni che queste la-voratrici, assunte con contratto a tempo indeterminato con sospensione estiva (part time ciclico), vivono rispetto agli altri lavoratori.

La prima discriminazione è che pur essendo lavoratori assunti con contratto a tempo inde-terminato ogni anno si ritrovano per 2/3 mesi di sospensione senza reddito.
In Italia tutti i lavoratori che incorrono in periodi di disoccupazione involontaria possono usufruire di misure di sostegno economico (naspi) quando lo stato di disoccupazione sia indipendente dalla volontà del lavoratore e abbiano almeno 13 settimane di contribuzione nei quattro anni precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione e 30 giorni di effettivo nei tredici mesi precedenti l’inizio della disoccupazione. I lavoratori le cui aziende debbano affrontare periodi di riduzione della produzione possono usufruire, nei periodi di riduzione/ sospensione dal lavoro, della CIG (oggi FIS). I lavoratori stagionali usufruiscono di un contributo economico, seppur ridotto dal jobs act.

Il sistema di welfare italiano, in misura maggior o minore, sebbene pesantemente manomesso dagli interventi del governo, prevede misure per i lavoratori che per cause indipendenti dalla loro volontà si ritrovano a subire periodi di mancata occupazione e quindi di mancato reddito. Lo prevede per tutti i lavoratori, meno che al personale che garantisce i servizi di pulizie, ristorazione e in molti casi ausiliariato (gli ex bidelli) nelle scuole italiane. Si tratta nella stragrande maggioranza di donne i cui contratti difficilmente superano le 15 ore alla settimana (le addette alla ristorazione CCNL Turismo) e le 14 ore (le addette ai servizi di pulizia e ausiliariato CCNL Multiservizi). In alcuni casi, essendo l’attività lavorativa strettamente legata alle necessità operative delle scuole, hanno orari anche inferiori ai minimi contrattuali.

Stiamo parlando di lavoratrici povere che, nella loro maggioranza, non hanno neppure usufruito in questi anni del “Bonus Renzi” introdotto dal D.L 66/2014, perché il loro reddito è troppo basso per accedervi! Queste lavoratrici, nei periodi di sospensione estiva, sono prive di qualsiasi reddito e non ricevono neppure gli assegni familiari. Siamo di fronte ad una discriminazione nei confronti di queste lavoratrici che per 9/10 mesi all’anno forniscono un servizio indispensabile nelle scuole e che nei 2/3 mesi in cui non possono lavorare, non per loro volontà, non fruiscono di alcun elemento di welfare, contrariamente agli altri lavoratori.

La seconda discriminazione è che devono lavorare di più per accedere alla pensione!
Alle lavoratrici part time con sospensione estiva (cicliche), l'INPS non riconosce per ogni anno di lavoro 52 settimane all'anno ai fini dell’accesso al diritto alla pensione, ma solo 40 o 44 a secondo che svolgano la loro attività nelle materne o nelle scuole elementari. Va inoltre rilevato che le stesse settimane che dovrebbero essere loro accreditate (tolte quelle di sospensione) vengono poi ulteriormente ridotte in base alla contribuzione annuale versata.

Una lavoratrice part-time con 15 ore di lavoro settimanale impegnata nelle elementari per ogni anno di lavoro non si vede riconosciute né le 52 settimane, né le 40 lavorate, ma solo 29. Basta che ognuna richieda l’ecocert all’INPS per rendersi conto di quella che è la propria situazione contributiva. Questo nonostante la Direttiva 97/81/CE disponga la non discriminazione dei lavoratori a tempo parziale e quindi che l’anzianità contributiva necessaria per l’individuazione della data relativa del diritto alla pensione debba essere calcolata, per chi è a tempo parziale, come se avesse lavorato a tempo pieno. Posizione confermata dalla sentenza della Corte di Giustizia CE n. 396/2010 e dalla recente giurisprudenza italiana. La Corte di Cassazione ha ribadito tale principio definendo che “l’anzianità contributiva utile ai fini della determinazione della data di acquisizione del diritto alla pensione sia calcolata per il lavoratore a tempo parziale come se egli avesse occupato un posto a tempo pieno, prendendo in considerazione i periodi non lavorati”.

Non si comprende perché il Governo non prenda un provvedimento per adeguare la legislazione italiana alla direttiva europea, evitando così migliaia di ricorsi e cause da parte delle lavoratrici nei confronti dell’INPS e le conseguenti spese legali a carico dell’INPS.

A Milano la Filcams ha iniziato nel 2016 una “class action” che ha coinvolto ad oggi più di 1500 lavoratrici. Le prime cause sono state vinte e il percorso vertenziale va avanti. A Brescia abbiamo collegato la via “giudiziaria” a quella sindacale. Oltre ad aver raccolto già 200 adesioni alla “class action”, abbiamo, unitariamente a Fisascat e Uiltucs, promosso iniziative pubbliche coinvolgendo le lavoratrici. Questa pressione ha portato già a due interpellanze, una dei 5 Stelle e una del PD, che raccolgono le nostre istanze. C’è poi l’impegno, preso con la Filcams-CGIL nazionale, da parte dei rappresentanti del PD, di presentare un emendamento alla finanziaria.

La nostra iniziativa ha poi portato ad emergere situazioni analoghe che riguardano altre lavoratrici impegnate nella scuola: le assistenti alla persona che dipendono dalle cooperative sociali e quindi sono seguite dalla categoria della Funzione pubblica. Questo ha portato anche la Fp-CGIL di Brescia a farsi carico del problema e stiamo lavorando ad un’iniziativa pubblica comune entro il mese di novembre. Per la cronaca, il nostro operato non solo ha reso più attente e partecipi le lavoratrici alle iniziative e alle proposte del sindacato, ma ha anche comportato una crescita significativa di iscritte nelle realtà dove l’abbiamo promossa.

Sappiamo che altri territori, non solo in Lombardia, si stanno muovendo sul tema. Oggi sarebbe il caso di generalizzare ed intensificare la nostra azione sia vertenziale che di pressione politica. La Filcams-CGIL può organizzare e mobilitare le lavoratrici degli appalti scolastici affinché il Governo dia una risposta nella Legge di stabilità.


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