Sulla teoria marxista del plusvalore - di Carlo Cafiero

In occasione del 150simo anniversario della pubblicazione de “Il capitale” (il primo libro uscì nel 1867) pubblichiamo un testo di volgarizzazione della teoria marxista del plusvalore, testo pubblicato nel 1879  da Carlo Cafiero, militante anarchico fondatore con Malatesta, Andrea Costa ed altri della Federazione italiana della Internazionale dei Lavoratori

La forza lavoro, producendo un valore maggiore di quanto essa vale, cioè un plusvalore, ha generato il capitale; ingrossando poi questo plusvalore col prolungamento della giornata di lavoro, ha procurato al capitale nutrimento sufficiente per la sua prima età. Il capitale cresce, ed il plusvalore deve aumentare per soddisfare il cresciuto bisogno. Aumento di plusvalore, però, altro non vuol dire, come abbiamo già visto, che prolungamento della giornata di lavoro, la quale ha pure infine il suo limite necessario, per quanto essa sia una lunghezza molto elastica. Per poco che sia il tempo che il capitalista lascia all’operario per la soddisfazione dei suoi più stretti bisogni, la giornata di lavoro sarà sempre minore delle 24 ore. La giornata di lavoro incontra dunque un limite naturale, e il plusvalore, per conseguenza, un ostacolo insormontabile. Indichiamo una giornata di lavoro con la linea A B.


A———-D———-C———-B


La lettera A ne indichi il principio e B la fine, quel termine naturale, cioè, oltre il quale non è possibile andare. Sia A C la parte della giornata in cui l’operaio produce il valore del salario ricevuto e C B la parte della giornata in cui l’operaio produce il plusvalore. Il nostro filatore di cotone, infatti, vedemmo che, ricevendo 3 lire di salario, con una metà della sua giornata riproduceva il valore del suo salario, e con l’altra metà produceva 3 lire di plusvalore. Il lavoro A C, con cui si produce il valore del salario, dicesi lavoro necessario, mentre il lavoro C B, che produce il plusvalore, chiamasi sopralavoro.

Il capitalista è assetato di sopralavoro, perché è questo che genera il plusvalore. Il sopralavoro prolungato prolunga la giornata di lavoro, la quale finisce per incontrare il suo limite naturale B, che presenta un ostacolo insormontabile al sopralavoro ed al plusvalore. Che fare allora? Il capitalista trova presto il rimedio. Egli osserva che il sopralavoro ha due limiti, l’uno B, fine della giornata di lavoro, l’altro C, fine del lavoro necessario; se il limite B è irremovibile, non sarà così del limite C. Riuscendo a trasportare il punto C sino al punto D, si avrebbe il sopralavoro C B cresciuto della lunghezza D C, proprio in quanto diminuirebbe il lavoro necessario A C. Il plusvalore troverebbe così il modo di continuare a crescere, non nel modo assoluto come prima, cioè prolungando sempre la giornata di lavoro, ma in relazione del crescere del sopralavoro sul corrispondente diminuire del lavoro necessario. Il primo era plusvalore assoluto, questo è plusvalore relativo. Il plusvalore relativo si fonda sulla diminuzione del lavoro necessario; la diminuzione del lavoro necessario si fonda sulla diminuzione del salario; la diminuzione del salario si fonda sulla diminuzione del prezzo delle cose, che sono necessarie all’operaio; dunque il plusvalore relativo è fondato sul ribasso delle merci che servono all’operaio.

E ci sarebbe pure un mezzo più spiccio per produrre il plusvalore relativo, dirà qualcuno, e sarebbe di pagare al lavoratore un salario minore di quello che gli spetta, cioè non pagargli il giusto prezzo della sua merce, la forza lavoro. Questo espediente, molto usato infatti, non può essere da noi menomamente considerato, perché non ammettiamo che la più perfetta osservanza della legge degli scambi, secondo la quale tutte le merci, e per conseguenza anche la forza del lavoro, devono essere vendute e comprate al loro giusto valore.

Il nostro capitalista, come già vedemmo, è un borghese assolutamente onesto; egli non userà mai, per ingrossare il suo capitale, un mezzo che non sia interamente degno di lui.

Supponiamo che, in una giornata di lavoro, un operaio produca 6 articoli di una merce, che il capitalista vende per il prezzo di L. 7,50, perché nel valore di questa merce la materia ed i mezzi di lavoro ci entrano per L. 1,50 e la forza del lavoro di 12 ore per 6 lire: tutti tre gli elementi, quindi, per L. 7,50. Il capitalista trova sul valore di L. 7,50, che ha la sua merce, un plusvalore di 3 lire e sopra ogni articolo un plusvalore di L. 0,50, perché spende L. 0,75 e ricava L. 1,25 da ognuno di essi. Supponiamo che con un nuovo sistema di lavoro, o solamente con un perfezionamento del vecchio, si giunga a raddoppiare la produzione, e che, invece di 6 articoli al giorno, il capitalista riesca ad ottenerne 12. Se in 6 articoli entravano per L. 1,50 la materia ed i mezzi di lavoro, in 12 vi entreranno per 3 lire, sempre cioè per L. 0,25 in ogni articolo. Queste 3 lire unite alle 6 lire prodotte dalla forza lavoro in 12 ore, formano 9 lire, cioè quanto costano i 12 articoli, ciascuno dei quali viene perciò al prezzo di L. 0,75.

Il capitalista ha oggi bisogno di farsi un posto più largo sul mercato per vendere una quantità doppia della sua merce; e vi riesce restringendone alquanto il prezzo. In altri termini il capitalista ha bisogno di far sorgere una ragione, per la quale i suoi articoli si possano vendere sul mercato nel doppio numero di prima; e la ragione la trova appunto nel ribasso di prezzo. Egli venderà, dunque, i suoi articoli ad un prezzo alquanto minore di L. 1,25, che era il loro prezzo di prima, ma maggiore di L. 0,75 quanto vale oggi ciascuno di essi. Li venderà ad una lira l’uno, e avrà così assicurato il doppio smercio dei suoi articoli, sui quali guadagna oggi 6 lire; 3 lire di plusvalore e 3 lire di differenza tra il loro valore ed il prezzo al quale sono venduti.

Come si vede, il capitalista ricava un grande utile da questo aumento di produzione. Tutti i capitalisti sono quindi altamente interessati ad aumentare i prodotti delle loro industrie, ed è ciò che essi riescono a fare ogni giorno in qualsiasi genere di produzione. Il loro guadagno straordinario, però, quello che rappresenta la differenza fra il valore della merce ed il prezzo al quale si vende, dura poco, perché presto il nuovo od il perfezionato sistema di produzione viene adottato da tutti per necessità. Allora si ha per risultato che il valore della merce diminuisce della metà. Prima ogni articolo valeva L. 1,25; oggi invece vale centesimi 62 e mezzo. Il capitalista però viene sempre ad ottenere l’istesso profitto, avendo raddoppiata la produzione. Prima 3 lire di plusvalore sopra 6 articoli ed oggi 3 lire di plusvalore sopra 12 articoli; ma siccome i 12 articoli sono prodotti nello stesso tempo che erano prodotti i 6 articoli, cioè in 12 ore di lavoro, si ha, come ultimo risultato sempre 3 lire di plusvalore su di una giornata di 12 ore, ma il doppio di produzione.

Quando questo aumento di produzione riguarda le merci necessarie al lavoratore, porta per conseguenza il ribasso del prezzo della forza lavoro, e quindi la diminuzione del lavoro necessario e l’aumento del sopralavoro, che costituisce il plusvalore relativo.


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