Il 26 gennaio 2015, quattro mesi di combattimenti e circa 2.000 morti, i partigiani e le partigiane kurde respinsero le milizie fasciste religiose dello stato islamico dalla città di Kobane ponendo fine ad un assedio di quattro mesi. Kobane segnò l’inizio della sconfitta dello stato islamico in Siria.
Tutto il mondo ha guardato con ammirazione il coraggio degli uomini e delle donne di Kobane.
Kobane, con Afrin, Al-Qamishli e Manbij, fa parte del territorio della Siria settentrionale liberato: un esempio di convivenza tra le popolazioni della zona e sicuro rifugio per oltre un milione di siriani sfollati dalle zone di conflitto.
Kobane ha resistito per mesi nell’indifferenza internazionale, finché le potenze impegnate nel conflitto siriano realizzarono che finalmente era stato individuata sul terreno una forza capace di contrastare e battere lo Stato islamico. Le ragioni di questa forza stavano e stanno nella determinazione di combattenti che si battono per la pace, la libertà e la convivenza multietnica. Solo allora americani e russi si decisero. Gli americani a fornire copertura aerea, i russi ad inviare truppe al confine tra Afrin e Turchia.
Il 20 gennaio 2018 i russi hanno ritirato i propri reparti, gli Stati uniti hanno raccomandato ai turchi di “non esagerare” ed iniziata da terra e dal cielo l’invasione di Afrin, Truppe turche e miliziani di Al Qaeda sono entrate nel cantone da Nord, da Est e da Ovest.
Nel 2015 Kobane chiamava il mondo, oggi è Afrin a chiamare. Gli stessi volti determinati delle giovani partigiane e i volti addolorati di uomini, donne e bambini costretti ad una guerra non voluta e non cercata.