Alla fine il lupo è arrivato, come nella favola - di Frida Nacinovich

Al suono della campanella, Paolo Gentiloni passa le consegne del governo al nuovo premier incaricato Giuseppe Conte. L’esecutivo giallo verde avanza, pentastellati e leghisti sono pronti a prendere in mano le redini di un paese più preoccupato dall’ ‘austerità espansiva’ dell’Unione europea che dalle evoluzioni dello spread.

Un risultato elettorale ampiamente prevedibile ma non per questo meno spiazzante. Un po’ come nella vecchia novella di ‘al lupo, al lupo’, i sondaggi registravano puntualmente l’insofferenza di un paese in larga parte impoverito dalle politiche ‘Ue-oriented’ dei governi Monti, Letta, Renzi e Gentiloni. Ma siamo andati avanti così, come se nulla fosse.

Eppure i segnali del ‘disordine nuovo’ si moltiplicavano: l’elezione di Donald Trump negli Stati Uniti e la Brexit sono state vittorie di quel ‘populismo del terzo millennio’ su cui i politologi di mezzo mondo vanno interrogandosi.

Il resto è cronaca politica degli ultimi giorni, compresa la decisione di Sergio Mattarella di non dare il via libera alla prima squadra di governo proposta da Luigi Di Maio e Matteo Salvini, per poi licenziare un esecutivo appena più temperato nella cruciale dimensione europea. Non in quella italiana, visto che il leader leghista approda al Quirinale minacciando ulteriori strette sull’immigrazione e l’ordine pubblico, e un altro ex paladino padano (non sono più i tempi dell’ampolla con l’acqua sacra del dio Po e delle canottiere verdi), nominato al dicastero della famiglia, ha già dato un saggio del suo pensiero, fra il canterino Povia e il corpulento Adinolfi.

Per misurare la distanza fra le promesse elettorali e le politiche concrete ci vorrà un po’ di tempo, e sarà particolarmente interessante vedere come si muoverà Luigi Di Maio, che ha riunito intorno alla sua figura dicasteri importanti come quello al lavoro e allo sviluppo economico.

Comunque è uno strano governo, investito da un lato dal vento di destra che soffia impetuoso nell’intero continente europeo, specialmente nell’est e nel pur ricco cuore produttivo teutonico, dall’altro da una forza nata appena dieci anni fa sull’onda di una parola d’ordine ben poco politica ‘vaffan...’, che in un lasso di tempo così breve ha catalizzato intorno a sé le ansie, le paure e il risentimento di milioni e milioni di esclusi non solo dal benessere ma anche da una vita dignitosa.

Difficile per altro credere che, se le aspettative alimentate dai due contraenti del patto di governo andranno deluse, la grande coalizione che di fatto ha governato il paese in questi anni torni ad essere automaticamente un buon rifugio per un elettorato stanco, disilluso, deluso, incattivito. Non sarà certo il fronte repubblicano evocato dall’ex ministro piddino Calenda e da Laura Boldrini, oppure il sempre più flebile canto della sirena di Silvio Berlusconi, a riportare indietro le lancette dell’orologio.

Una fase politica si è chiusa e un’altra si è aperta. La campanella suona per Conte, che però non somiglia al Gary Cooper hemingweiano, il Robert Jordan che riflette e conclude che il mondo è un bel posto e vale la pena lottare per esso. Anche l’Italia è un magnifico paese, ricchissimo di storia, bellezze naturali e artistiche e di ingegni un po’ anarchici ma riconosciuti in tutto il pianeta. Aiutateci a casa nostra.


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