La premessa è d’obbligo: quando si parla di Tav, l’alta velocità ferroviaria, si intende una grande opera già realizzata in gran parte della penisola, come peraltro si può facilmente vedere dando un’occhiata alle cartine esplicative affisse lungo i vagoni di un Frecciarossa, Frecciargento o Frecciabianca. Detto questo per sgombrare il campo da dichiarazioni enfatiche e propagandistiche, le discussioni politiche sull’infrastruttura riguardano ormai soltanto due “nodi” residui, l’ormai celebre tratta di 57,5 chilometri in tunnel in Val di Susa per la progettata tratta Torino-Lione, e il sottoattraversamento fiorentino con un tunnel di 7,5 chilometri. Entrambe le opere sono aspramente contestate dalle popolazioni, e nel caso della Tav in Val di Susa l’esito del voto del 4 marzo ha certificato, con un voto semi-plebiscitario al M5S, una opposizione popolare che ormai va avanti da più di dieci anni.
Effetto diretto di questo stato di cosa è la recentissima decisione di Telt, la società italo-francese incaricata di costruire e gestire la tratta ferroviaria, di non firmare le procedure della gara internazionale per il primo mega-appalto, diviso in tre parti, da 2,3 miliardi di euro, per l’avvio vero e proprio del tunnel di 57,5 chilometri. Già, perché i cantieri allestiti in questi anni in Val di Susa sono serviti soltanto ad avviare i lavori del “foro pilota”: in altre parole non più di una sperimentazione.
Lo stop, che in teoria non potrà durare più di due mesi, è stato la conseguenza di una riflessione in corso nelle stanze governative dei bottoni. Specialmente in casa 5 Stelle, i nodi dell’Ilva, della Tav e del Tap, il gasdotto internazionale che sta approdando sulle coste pugliesi, sono altrettanti fattori potenziali di perdita di consenso. Dato che sul Tap stanno spingendo anche gli Usa, e che l’Ilva non può chiudere, è il tunnel valsusino della Torino-Lione il pezzo più facilmente sacrificabile. Anche perché ad oggi i finanziamenti sono così divisi: 40% dall’Europa, 35% a carico dell’Italia e 25% dalla Francia, nonostante il grosso della tratta internazionale sia sul loro territorio.
Nell’ormai celebre “contratto di governo” fra M5S e Lega, sulla tratta piemontese dell’alta velocità si parla testualmente di “ridiscutere integralmente l’infrastruttura”. Parole che i pentastellati ormai interpretano in maniera radicale, con lo stop definitivo al progetto. Mentre gli stessi leghisti, con il sottosegretario alle infrastrutture Edoardo Rixi, osservano testualmente: “I cantieri a rilento non aiutano a dimostrare quanto quest’opera sia fondamentale. E sarebbe inutile continuare se i francesi non sono più interessati: la sensazione è che oggi non siano troppo convinti”. Le voci che si rincorrono, in queste afose giornate estive, dai palazzi del potere ora pentaleghista sussurrano che il “no” definitivo alla Tav in Val di Susa avverrà in autunno, al termine della rinnovata analisi costi-benefici della grande opera, inclusi stavolta quelli ambientali. Quanto infine al sottoattraversamento fiorentino, sta diventando una vera e propria maledizione per i suoi sostenitori, visti i reiterati fallimenti delle grandi imprese, da Coopsette a Condotte, che dovevano realizzare i lavori.
i no tav in marcia chiedono fatti
Sotto la pioggia, in migliaia hanno preso parte nell’ultimo fine settimana di luglio alla tradizionale marcia No Tav che da Venaus, in poco meno di due ore, ha portato al cantiere di Chiomonte della Torino-Lione. Fra i manifestanti anche famiglie con bambini, che hanno risalito i sentieri della Clarea fino a raggiungere il cantiere dell’ormai celebre “foro pilota”. “La Valle che resiste. No Tav” è stato lo striscione di apertura della marcia, inserita tra gli eventi del festival dell’Alta Felicità, la manifestazione ispirata alla cultura dello sviluppo sostenibile e all’opposizione alle grandi opere.
I manifestanti anche in quest’occasione sono stati espliciti: dati alla mano, continuano a denunciare che la Torino Lione è una tratta ferroviaria priva di ogni utilità economica. Lo era fin dalla sua ideazione, vent’anni fa, e lo è doppiamente oggi, visto che la linea ferroviaria “storica” è utilizzata per un quinto delle sue potenzialità, e i traffici ferroviari e stradali su quella direttrice sono in continuo calo.
Fra i partecipanti alla marcia c’erano naturalmente leader storici del movimento No Tav, come il valsusino Alberto Perino. Pronto a dire la sua su quanto sta accadendo a Roma, nei palazzi del potere governativo: “Continuiamo a essere vigili, non ci fidiamo delle dichiarazioni dei giornali e vogliamo vedere atti concreti. Perché un governo non opera con i selfie, ma con i documenti. E smettiamo di diffondere bufale: nessuna penale è prevista in documenti sottoscritti dall’Italia, o può derivare da inadempienze contrattuali, perché non sono stati banditi, né tanto meno aggiudicati, appalti per il tunnel di base”.