Irricevibile l’apertura del Governo all’introduzione di voucher in agricoltura e nel turismo, settori già vessati e sviliti
Il 28 giugno 2018 l’ISTAT ha pubblicato i dati riferiti allo stato di povertà in Italia e nel 2017 ha stimato in povertà assoluta 1 milione e 778 mila famiglie residenti in cui vivono 5 milioni e 58 mila individui.
E’ il valore più alto registrato dal 2005 che denota un aumento di povertà assoluta sia in termini di famiglie che di individui.
Per “povertà assoluta” l’Istat intende coloro che versano in condizioni tali da non poter affrontare la spesa mensile sufficiente ad acquistare beni e servizi considerati essenziali per uno standard di vita minimamente accettabile.
Un milione e 200 mila minori sono in povertà, tre giovani su dieci sono NEET (acronimo inglese che indica giovani che non studiano, non si formano e non lavorano), il fenomeno del lavoro povero è dilagante.
Sempre dagli ultimi dati ISTAT sull’occupazione si evince che la povertà aumenta nel momento in cui il numero di occupati ha ormai raggiunto livelli pre-crisi, il mondo del lavoro è fragile e precario, caratterizzato dal costante incremento dei contratti a termine, spesso di breve o brevissima durata (+41mila su base mensile), dalla riduzione dei tempi indeterminati (-37mila), da salari bassi.
Cresce la disoccupazione giovanile, che sale al 33,1%, in controtendenza rispetto ai Paesi della zona euro, nei quali cala dal 17,3% di marzo a 17,2%, e nella Ue a 28 (dal 15,4% al 15,3%).
La verità drammatica è che i sistemi di protezione sociale classici sono stati smantellati e ci troviamo di fronte alla precarizzazione senza limiti del lavoro, alla sua svalutazione e svalorizzazione.
C’è bisogno di azioni coraggiose, di misure di politica economica che possano far ripartire gli investimenti pubblici e privati, un vero piano di sviluppo fondato sullo sblocco della spesa pubblica e la creazione di nuove opportunità di lavoro di qualità, di ammodernamento del sistema produttivo e non solo di decontribuzioni a pioggia o benefici fiscali senza innovazione ed efficienza diffuse.
Risulta irricevibile l’apertura del Governo Di Maio-Salvini all’introduzione di voucher sia in agricoltura che nel turismo, settori abbondantemente vessati e sviliti.
Anche il report pubblicato dall’INPS riguardante il primo semestre 2018 sull’applicazione del Reddito di Dignità, strumento approvato dal Governo Gentiloni nel 2017, segnala che sono stati raggiunti dalle misure contro la povertà circa 311mila nuclei con il coinvolgimento di oltre un milione di persone, molte delle quali svolgono attività lavorativa nel terziario non qualificato il cui reddito da lavoro dipendente o autonomo corrisponde a un’imposta lorda pari o inferiore rispettivamente a 8.000 e 4.800 euro.
E’ evidente quanto sia assente dal dibattito politico pubblico l’importanza di rimettere al centro dell’azione politica del Governo la creazione di lavoro di qualità come veicolo per contrastare condizioni di indigenza e privazioni materiali.
Non è più il momento di scegliere tra occupazione e salario pur che sia, tra esistere o vivere. Diventa fondamentale mettere al centro dell’azione politico-sindacale della nostra organizzazione continuare a premere verso la discussione in Parlamento sulla Carta dei Diritti Universali del Lavoro, proposta di Legge di iniziativa popolare che ha raccolto 1,2 milioni di firme.
Ma diventa necessario anche ripensare il rilancio di una nuova stagione di politiche salariali.
Confindustria continua sostenere che solo la contrattazione aziendale può distribuire salario legato alla produttività. Ma la contrattazione aziendale vera si fa in una piccola minoranza di aziende (12,9% del totale, 17,9% dell’industria) e interessa non più di 3 milioni di lavoratori dipendenti, di cui 2 nell’industria in senso stretto e spesso localizzate nel nord del Paese: di cosa stiamo parlando? Non può essere questo il motore che trascina verso l’alto insieme salari e produttività, tanto meno se gran parte degli aumenti retributivi è elargito sotto forma di “welfare” contrattuale.
I Ccnl firmati negli ultimi anni distribuiscono quote di ricchezza (seppure in misura diversa) già negli incrementi previsti a livello nazionale. Per questo il CCNL è al centro della nostra azione sindacale.
Ma una nuova sfida potrebbe essere quella di provare a proporre e organizzare la contrattazione territoriale (di settore o di area) dove si concorda una quota di incremento retributivo, sottoposta ad accordi sottoscritti tra sindacati e imprese, atta a includere, in una nuova visione di contrattazione per la redistribuzione di reddito, coloro che non hanno il contratto aziendale, ovvero la stragrande maggioranza delle imprese di piccola e media dimensione e la stragrande maggioranza delle imprese del Mezzogiorno.
L’obiettivo è creare un lavoro di qualità in termini economici, di riconoscibilità sociale, di garanzie e tutele, di protezioni sociali.