Dopo un’overdose di politica nell’agosto più strano della storia repubblicana del paese, la bonaccia di settembre era per certi versi annunciata. Così può succedere che la destra salviniana lavori per un referendum su una legge elettorale maggioritaria, cancellando la quota proporzionale del rosatellum, senza che l’opinione pubblica si preoccupi più di tanto.
A differenza di quanto accade nei quartieri generali di Partito democratico e Cinque stelle, già a lavoro sulle contromisure, al netto delle decisioni della Consulta in materia.
L’iniziativa politica della Lega ha comunque permesso di ricompattare il centrodestra, anche se l’anziano Berlusconi è sempre più ondivago, dichiarando a giorni alterni ora la fedeltà alla trimurti da lui stesso creata un quarto di secolo fa - Fratelli d’Italia (ex An), Lega, Forza Italia - ora a un sistema proporzionale che gli permetta maggiore libertà di manovra. In ossequio a un’Europa che lo ha riaccolto tra le proprie fila, permettendogli una serena vecchiaia politica tra i senatori del Partito popolare europeo.
L’improvvido pronunciamento di Salvini a inizio agosto, sulla spiaggia di Milano marittima, ha terremotato il quadro politico e si è ripercosso sugli equilibri interni di un’opposizione al governo 5S-Pd-Leu che pure, secondo i sondaggi, godrebbe ancora di un largo consenso nel paese. Però i sondaggi lasciano il tempo che trovano, quando i padroni del vapore sospingono il Conte bis, contando sull’affidabilità del partito di Zingaretti in tema di conti pubblici e di rapporti con la Commissione europea. In questo contesto, la variabile Renzi conta il giusto: anche il conducator di Rigano sull’Arno, al di là dell’enfatica prosa da rottamatore, sui grandi temi continentali è allineato e coperto.
Forse più di tutti gli altri. Anche perché, come è nella natura del personaggio, solo un partito su misura è in grado di contenere il suo strabordante ego, umano e politico. “Matteo, Matteo, Matteo”, gli dicono non solo quelli della ‘sua’ Italia viva ma anche gli alleati di governo. Nemmeno fosse il barone Lamberto, che per non invecchiare obbligava i cortigiani ad adularlo, nominandolo a ogni pie’ sospinto. Guarda un po’, nel giro di un paio di mesi il Matteo con la barba è finito nella polvere, quello senza è tornato sugli altari. E poi dicono che la politica italiana è poco fantasiosa.
Ora si avvicina un piccolo test elettorale, le elezioni regionali in Umbria di fine ottobre, che farà capire qualcosa di più su quanto si muove nella pancia del paese. Si dovrà scoprire se la strana coppia Zingaretti-Di Maio funziona non solo nelle aule parlamentari.
La risposta che arriverà, comunque non sarà certo decisiva per le sorti del Conte bis. Un presidente del Consiglio talmente amato nelle stanze dei bottoni, da avere una critica al livello di quella di Messi, Ronaldo e Ribèry. Se la politica funzionasse come il calcio, Giuseppe Conte, democristiano di origine controllata, farebbe gola anche al Real Madrid e al Barcellona. Ma le liturgie della politica sono altre, così il presidente del Consiglio italiano (l’avreste mai detto?) si limita a ricevere complimenti su complimenti dai potenti del pianeta, e a cascata da quasi tutti i media. Finalmente uno che ha dimestichezza con le lingue, conosce il galateo istituzionale, si presenta bene in società, che ne ha dette quattro ai sovranisti.
Un santino insomma, come quello di padre Pio, che si porta in tasca, ma che dovrà evitare l’effetto Monti, il prof che dipinto come salvatore della patria è finito nel breve volgere di qualche stagione a essere ricordato come un vampiro succhia soldi. Di acqua sotto i ponti ne è passata, ora lo spread è al livello di relativa sicurezza e gli indicatori economici, complici le misure della Banca centrale europea, sono più favorevoli che in passato.
Per giunta il professore di diritto privato dell’ateneo fiorentino sembra più furbo del collega bocconiano: basta vedere come ha annunciato la sterilizzazione dell’aumento dell’Iva, notizia diventata per forza di cose la copertina dell’ultima giornata di un settembre mite e soleggiato, come da tempo non si vedeva. La polvere poi viene nascosta sotto i rossi tappeti dei palazzi della politica. A ben guardare infatti il governo, dipinto come di sinistra estrema da Berlusconi, Salvini e Meloni, poco o nulla fa sul fronte dei diritti e delle tutele del lavoro. Certo, quota cento resta fino all’esaurirsi dei tre anni programmati, e anche il reddito di cittadinanza tanto caro ai Cinque stelle non sarà abbandonato. Ma di toccare il jobs act e la legge Fornero non se ne parla nemmeno, non tanto perché si arrabbierebbe Matteo Renzi, soprattutto perché l’universo del lavoro deve restare così come è. Ce lo chiede l’Europa, ci ripetono da dieci anni e passa. E noi, obbedienti, eseguiamo. Bisogna che tutto cambi perché nulla sia cambiato, ci ricorda sempre il conte di Salina.