Care compagne e cari compagni, buona giornata e buon lavoro a tutti noi!
Sono presenti compagne e compagni del Piemonte, della Lombardia, del Veneto, del Trentino, della Emilia-Romagna, della Toscana, dell’Umbria, del Lazio, della Campania , della Basilicata, della Puglia, della Sardegna.. Non tutti sono compagni e compagne che fanno parte della nostra esperienza di area organizzata. Non tutti potranno essere presenti per tutti e tre i giorni. La vostra numerosa partecipazione mi rende particolarmente felice. Grazie!
Una crisi “contro” il lavoro
Da oltre dieci anni siamo in una fase di crisi del capitalismo e del modello sociale di sviluppo che investe il lavoro e gli aspetti economici, ambientali e climatici. Una crisi che concentra la ricchezza e centralizza il comando, che ha redistribuito su base mondiale le forze produttive e distrutto in Occidente (in particolare in Italia) una fetta importante del tessuto industriale, che ha portato a una sostanziale riorganizzazione del lavoro, producendo precarietà e impoverimento del lavoro subordinato e di ampi settori di quello autonomo.
La crisi economica è ancora grave, con l’economia ferma e l’Europa tutta che vede un pericoloso processo di recessione e stagnazione.
La ricetta neoliberista è anteriore alla crisi. Anzi, aumentando la disoccupazione e precarizzando la condizione lavorativa e intervenendo sulla redistribuzione della ricchezza, tanto in termini di salario diretto che indiretto (le prestazioni dello stato sociale), ha aggravato i fattori di crisi in tutti i paesi capitalistici più avanzati dell’Europa.
La comunità europea, i circoli della finanza internazionale, il sistema bancario insistono su questa ricetta che da al mercato ogni possibilità distruggendo il sistema di regole di temperamento della voracità insaziabile del capitale introdotte in oltre due secoli di storia grazie alle lotte del movimento operaio. Il Trattato di Maastricht e le regole che la Trojka hanno stabilito in tutti i paesi per affrontare la crisi hanno determinato le conseguenze che sono sotto i nostri occhi
Il lavoro va articolandosi in due grandi segmenti frutto dell’offensiva neoliberista, secondo un modello di governo sociale legato alla destrutturazione del tradizionale sistema di regolazione sociale dell’economia e alla diffusione della competitività come criterio fondamentale:
il lavoro precario subordinato destrutturato, sia esso dipendente che autonomo, a tempo determinato permanente, a part-time involontario, a progetto e a chiamata, flessibile, a rimborso di scontrini, povero, gratuito. Il popolo dei tirocini, degli studenti dell’alternanza scuola lavoro e dei migranti. Fattorini chiamati riders, le facce nascoste dei soggetti reali del capitalismo delle piattaforme, salari da fame e cottimo, algoritmi e neotaylorismo, partite Iva, e il lavoro povero nella logistica, cooperative spurie, lavoro nero, disparità salariale, di chi lavora quando c’è la chiamata, delle false partite IVA che socializzano tra loro i costi di produzione e gestione.
il lavoro “stabile” a tempo indeterminato, spesso disperso nella polverizzazione delle unità produttive, quello della fabbrica-comunità dove sono esclusi il conflitto e la rappresentanza autonoma del lavoro, dove vige il principio di collaborazione, di fedeltà, di condivisione dei valori, dove i rappresentanti dei lavoratori possono essere solo espressione di un sindacalismo aziendale. Un mondo a cui si appartiene in modo “provvisorio”, sottoposti al ricatto della perdita del posto di lavoro per discriminazione, per ristrutturazione, per cessazione di attività, per riduzioni di bilancio, per scelta di aziende e di multinazionali che spostano attività alla ricerca del profitto senza alcun vincolo sociale.
Riunificare le lavoratrici e i lavoratori precari con i lavoratori occupati dentro il “primo cerchio” delle aziende, quello del contratto a tempo indeterminato e dei diritti: questa è la sfida che la CGIL ha davanti. Dobbiamo essere in grado di rispondere a questa domanda che deve muovere l'azione sindacale quotidiana e di prospettiva strategica della CGIL, portando a compimento le politiche di inclusione, per estendere a tutte le lavoratrici e i lavoratori gli stessi diritti per via di legge e contrattuale, come proposto con la Carta dei diritti universali del lavoro.
In questi anni, il capitale ha piegato a proprio vantaggio la possibilità di ridurre la quantità di lavoro umano necessaria a produrre e distribuire le merci.
Abbiamo assistito a una riduzione di ore di lavoro lavorate medie attraverso la flessibilizzazione della forza-lavoro e allo stesso tempo a spremere i singoli lavoratori dilatando nel tempo della vita la prestazione lavorativa con orari più lunghi, l’estensione del lavoro festivo, forme di controllo e prestazione lavorativa a distanza anche fuori dal luogo di lavoro, utilizzando le nuove tecnologie che non sono mai neutre, il prolungamento dell’età pensionabile.
In questo mondo del lavoro, sopravvive e si integra in un amalgama inscindibile, la barbarie dello sfruttamento più bieco, quella “tradizionale” del caporalato, della schiavitù di una condizione lavorativa disumanata, dei nuovi schiavi del XXI secolo e prosegue lo stillicidio di morte degli omicidi sul lavoro. Oltre 17.000 negli ultimi 10. 1133 lo scorso anno, 685 ad agosto di quest’anno!: 3,87 caduti al giorno, secondo le statistiche…
L’imperialismo è sempre più aggressivo
Mentre siamo qui riuniti nubi di tempesta si addensano sul pianeta e non solo per le conseguenze del cambiamento climatico che hanno già effetti devastanti su milioni di persone del mondo, persone che hanno perso la vita, la casa, la salute, la terra, persone costrette ad emigrare a causa di carestie, alluvioni, e che sono il prodotto della globalizzazione del modello di produzione capitalistico, del saccheggio delle materie prime e della distruzione massiva delle forze produttive, in primo luogo della natura stessa. Sono le nubi di una situazione internazionale sempre più caratterizzata dalla aggressività dell’imperialismo USA che mena fendenti alla cieca, in modo apparentemente irrazionale, che sfida l’altra grande superpotenza globale, la Cina e continua a fomentare guerre e disordini dall’America Latina, all’Europa, all’Asia, al Vicino Oriente. Sfida anche sul piano regionale (Europa e Vicino Oriente) la Russia ridotta a potenza regionale e a grande mercante d’armi su un mercato internazionale su cui piazza – dopo averli sperimentati nei conflitti locali – i suoi moderni sistemi d’arma vendendoli indifferentemente a chicchessia, dalla Turchia, al Venezuela, all’Arabia saudita all’Iran. Ovunque si afferma dall’Alaska a Vladivostok un modello sociale liberista che taglia lo stato sociale, afferma la superiorità del mercato e del profitto, il predominio del capitale finanziario.
La CGIL ha finalmente unito (il 14 ottobre!) la propria voce a quanti in Italia e nel mondo hanno stigmatizzato la risoluzione del Parlamento europeo che ha equiparato il fascismo al comunismo e che ha cercato di sminuire le responsabilità del fascismo tedesco nello scatenare la Seconda guerra mondiale, attribuendo all’URSS una politica di aggressione e di guerra che non le è mai stata propria.
Permettetemi di rivolgere un pensiero alle combattenti e ai combattenti del Rojava, gli uomini e le donne che hanno sconfitto in una lunga battaglia frontale i mandanti e gli esecutori degli attentati sanguinosi che hanno portato lutti in tanti paesi, anche qui in Europa, in Belgio e in Francia soprattutto, e che oggi sono lasciati soli ad affrontare la ferocia di potenze criminali che vogliono imporre l’ordine dei gendarmi.
Voglio esprimere la solidarietà al popolo cubano che difende l’indipendenza di Cuba nonostante un embargo feroce, al popolo venezuelano che viene anch’esso sottoposto ad embargo soltanto per aver cercato una alternativa al mondo di violenza, miseria e disumanità che colpisce tutti i paesi del Sudamerica. Non posso dimenticare il popolo palestinese, che subisce l’oppressione senza che più nessuno ne faccia parola e nel silenzio della comunità internazionale.
La Terra è una sola. L’ambiente naturale che ci ospita è in pericolo, l’aggressività del capitalismo si esprime anche nel disprezzo verso il necessario equilibrio ecologico. Ribellarsi a questa idea significa anche ribellarsi ad un modello economico e sociale che è espressione del Capitale e che mette a rischio la salute delle persone e la sopravvivenza del pianeta. Per questo la battaglia ambientalista della gioventù dev’essere anche la nostra battaglia. Dobbiamo guardare con fiducia al nuovo movimento mondiale della gioventù sul cambiamento climatico, quali che ne siano le possibili strumentalizzazioni: mette in campo milioni di persone nel cuore dell’Occidente, chiede un altro mondo possibile e finirà inevitabilmente per mettere in discussione il modello di sviluppo e gli stili di vita imposti dal capitalismo. E guardiamo con fiducia ovunque i popoli prendono coscienza e si organizzano dall’Africa, all’America Latina. Dentro questo flusso storico, dentro questo movimento reale che vuole cambiare lo stato di cose presenti noi ci riconosciamo!
Permettetemi di ricordare, quei cittadini italiani che dedicando la loro vita alla solidarietà, all’impegno anche in aree difficili, parlando la lingua del dialogo e della pace hanno messo a repentaglio la loro vita. Prima fra tutto Giulio Regeni, assassinato atrocemente dagli sgherri del regime militare egiziano nel 2016; Paolo Dall’Oglio, scomparso nel 2013 in Siria mentre cercava di strappare con la trattativa innocenti ostaggi ai tagliagole del Daesh; la giovane Silvia Romano, cooperante umanitaria, rapita in Kenia da quaedisti somali e di cui non abbiamo notizie dal febbraio 2018. A lo e ai loro familiari un abbraccio e la richiesta di giustizia e per chi può di liberazione.
Paura, xenofobia, egoismo sono antitetici al sindacato confederale
Viviamo in un momento difficile. Tutti avvertiamo una crescente incertezza. Quando si parla di “disagio sociale” si racchiude in una parola un insieme di condizioni dell’esistenza materiale e spirituale, di comportamenti, sensazioni che coinvolgono tutti in una società sempre più magmatica, priva di riferimenti certi, nelle relazioni sociali, sul lavoro, per la sicurezza, per la salute, comportamenti che spalancano la porta a fenomeni sempre presenti nel contesto sociale che da marginali diventato sempre più diffusi: violenza, razzismo, un egoismo di massa dilagante, una “disumanizzazione” delle relazioni interpersonali. Tutto questo produce a sua volta una voglia di conservazione, di auspicio d’ordine, di paura verso la diversità e le cose che non conosciamo.
La base materiale di tutto questo sta nel carattere sempre più diseguale e competitivo del modello di produzione capitalistico, nella crescente alienazione di una prestazione lavorativa che attraverso la precarietà non offre più una identità basata sul lavoro e la professione, così come nega una identità sociale. La crisi accentua tutto questo perché impoverisce sul piano materiale la gente, mentre lo smantellamento liberista dello stato sociale toglie alle nuove generazioni la fiducia nell’avvenire e nelle altre certezze che erano date per acquisite e definitive.
La rivoluzione digitale, così come la rivoluzione industriale che l’ha preceduta, da fattore di potenziale emancipazione del lavoro dalla fatica e dalla ripetitività si è rovesciata nel contrario: la precarietà della condizione lavorativa trascina con sé la precarietà dell’esistenza, la difficoltà a definire una propria identità, non solo sociale e collettiva, ma anche individuale.
Mai avrei pensato di vivere in un paese nel quale si alimentano odio, rancore, invidia sociale, dove si aggrediscono persone per il colore della loro pelle, e – a così tanti anni di distanza dall’abolizione del reato d’onore, della istituzione del divorzio e dalla legalizzazione dell’aborto, donne vengono quotidianamente uccise nelle loro case da uomini padroni. La crisi economica e sociale ha portato ad un regresso culturale che la CGIL deve contrastare.
La CGIL è la casa dei lavoratori. Ogni lavoratore può trovare da noi un ascolto, una tutela, per difendere i suoi diritti. Qualunque sia la sua idea, qualunque partito o lista abbia votato. Ma ogni uomo o donna che sceglie di aderire alla CGIL deve sapere che con la tessera “acquista tutto il pacchetto”. La CGIL è antifascista, la CGIL è antirazzista, la CGIL si oppone alla xenofobia e ad ogni discriminazione sociale, etnica e di genere. La CGIL è la casa dei lavoratori italiani e stranieri, emigrati, migranti e immigrati, atei, cristiani, ebrei, musulmani, animisti, buddisti, maschi, femmine e LGBT! Chi vuole dirigere la CGIL deve sapere che questi valori li deve condividere! Non c’è posto tra di noi per chi fomenti con le parole e con le azioni l’odio, il razzismo, il sessismo.
L’autonomia non è indifferenza!
Il voto nelle elezioni europee è andato ad una destra dimentica dei valori di solidarietà, partecipazione e uguaglianza della Repubblica nata dalla Resistenza. Ormai da anni milioni di cittadini proclamano la loro estraneità dalla vita politica e sociale con l’astensione dal voto. Disillusi da una sinistra che negli ultimi 20 anni ha tradito ogni aspettativa di trasformazione e cambiamento, ha contribuito a smantellare le conquiste del movimento operaio, incapace di dare fiducia nel futuro. Xenofobia, razzismo, individualismo ed egoismo sono la cifra della quotidianità, mentre cresce l’insicurezza sociale a partire dal lavoro e dalla sua precarizzazione.
Della massa degli astenuti e dei voti alla destra autoritaria e xenofoba fanno parte la stragrande maggioranza dei lavoratori, anche buona parte degli iscritti al sindacato confederale e non solo. Le elezioni confermano che per la massa dei lavoratori la sinistra estrema appare inutile e residuale, mentre il PD resta il partito della legge Fornero e del Jobs act.
I governi italiani hanno portato avanti le politiche neoliberiste di privatizzazione delle aziende pubbliche e di Stato, di liberalizzazione del mercato, di riduzione e dello stato sociale e di deregolazione del lavoro.
La riforma Fornero, la lenzuolata delle liberalizzazioni, il pareggio di bilancio in Costituzione, l’art. 8 della Legge Sacconi, il Decreto lavoro di Renzi: in pochi provvedimenti l’essenza di una politica articolata contro il lavoro, contro i diritti a favore del mercato e del capitale. Il governo Conte 1 non ha invertito la tendenza anche se ha preso due provvedimenti popolari quali “quota 100”, il “reddito di cittadinanza ed ha attenuato le conseguenze del jobs act, limitando il ricorso ai contratti a termine e innalzando le penali per i licenziamenti. Vedremo ora il Conte 2.
La crisi del primo governo Conte e la sua repentina sostituzione col governo Conte bis ha segnato l’inizio di una nuova fase. L’aggressivo delirio di onnipotenza di Salvini, mettendo in crisi il precedente governo M5S-Lega ha aperto la strada ad una nuova inedita coalizione M5S-PD-LeU, segnando indubbiamente una novità, nel quadro e nel clima politico nazionale. Una novità che ha visto la fine del precedente governo, pericoloso e marcatamente di destra. Un governo che con un ministro degli interni nazionalista, xenofobo e securitario stava portando l’Italia alla rovina, attraverso la pratica quotidiana dell’odio e dell’egoismo sociale.
Rispetto al nuovo governo, la CGIL è ben posizionata. Il Segretario Generale, Maurizio Landini, ha più volte dichiarato che per il sindacato, nella sua piena autonomia, non esistono governi “amici” e che i provvedimenti che verranno presi saranno giudicato nel merito e nelle scelte concrete, a partire dalla nuova Legge di Bilancio. Grazie a questa autonomia, la CGIL sta faticosamente recuperando credibilità tra i lavoratori e le lavoratrici. La strada è ancora lunga, perché troppe volte i governi di centrosinistra hanno adottato, nei fatti, provvedimenti di stampo liberista, disconoscendo il ruolo del sindacato, visto come un intralcio al dispiegarsi delle politiche antipopolari. Ciò ha fatto sì che il consenso popolare si spostasse da sinistra verso destra, rafforzando elettoralmente i cinquestelle e, soprattutto, la Lega.
La nostra autonomia non è neutralità o indifferenza. Destra e sinistra non son uguali. Il fatto è che in Italia non c’è più una sinistra forte, autorevole, radicata nella società. La sinistra continua a vivere – quasi catacombale – nel sindacato e nei movimenti sociali, priva di riferimenti politici che non siano piccoli partiti o sètte. Noi siano parte, ci piaccia o meno di questa sinistra.
FILCAMS-CGIL: la categoria dell’inclusione!
Il vasto mondo del terziario, che rappresentiamo con i nostri contratti nazionali, che organizziamo nelle nostre fila e di cui esprimiamo RSA ed RSU, che affolla i nostri uffici vertenze, esprime tutte le sfumature e sfaccettare della realtà del lavoro che ho or ora descritto e dunque rende la FILCAMS una inevitabile protagonista e ci obbliga al cimento dell’azione e prima della elaborazione programmatica in chiave confederale.
La FILCAMS raggruppa sempre più lavoratori che l’economia 4.0 sposta dai settori industriali e manifatturieri nell’area dei servizi alle imprese e si colloca all’avanguardia sul terreno della difesa dei diritti del lavoro nei settori della nuova economia digitale ed informale, affiancando questa attività a quella nei multiservizi, nella rete distributiva, nella ristorazione, nel turismo. Organizza, accanto ai lavoratori strutturati, sempre più la vasta massa dei lavoratori precari e informali, senza diritti e senza tutele, sia essi dipendenti o parasubordinati,
L’identità della FILCAMS CGIL si costruisce intorno alla idea-forza della inclusione. La politica di inclusione vuol dire che la contrattazione collettiva nazionale deve riguardare tutti i lavoratori: diretti e indiretti, dipendenti e sedicenti autonomi.
La politica contrattuale nazionale dovrebbe essere coerente con gli obiettivi unitari della carta dei diritti e con la linea generale di difesa e allargamento delle prestazioni dello Stato sociale rivolte ai lavoratori (assegno di disoccupazione, sospensioni di lavoro, previdenza) e a tutti i cittadini (assistenza sanitaria, diritto allo studio e alla formazione, sostegno al reddito) e valorizzare la prestazione lavorativa, riconoscendone la natura professionale e la qualità.
La contrattazione integrativa di secondo livello aziendale e territoriale dovrebbe riconoscere le particolarità della prestazione e ripartire tra i lavoratori – in attesa di avanzamenti generalizzati, attraverso la contrattazione nazionale, quote di produttività proprie del gruppo di riferimento. Questo secondo livello dovrebbe coinvolgere tutti i lavoratori presenti in azienda compresi i contratti a termine, gli interinali, i neoassunti, secondo un “modello inclusivo”.
Una delle condizioni (ma anche un obiettivo) della contrattazione inclusiva è che si applichi a quanti più lavoratori di uno stesso settore produttivo lo stesso Contratto collettivo nazionale di lavoro. Questo ci porta a fare i conti con la presenza di contratti diversi tra lavoratori che dipendono da aziende che afferiscono a differenti associazioni datoriali. Pensiamo, per il commercio, alla grande distribuzione organizzata, al ccnl Confcommercio, a quello cooperativo, a quello Confesercenti, Ognuno di questi contratti ha una sua storia e le sue particolarità. La strada verso l’unificazione è lunga e sarà oggetto di contrasti forti, perché noi pensiamo ad una unità fatta attraverso il riconoscimento delle differenze, ma in un quadro di valorizzazione, il padronato vuole un livellamento al ribasso.
A monte di questo, c’è la presenza nello stesso settore anche di contratti pirata, siglati da associazioni di comodo che potranno essere rimossi solo da un intervento legislativo sulle regole di rappresentanza.
All’interno di una stessa unità produttiva si applicano contratti diversi: per rimanere al commercio, spesso si applicano i contratti della logistica e dei multiservizi ai lavoratori che svolgono mansioni esternalizzate o terziarizzate. Anche qui il problema si può affrontare solo rimettendo in discussione la legislazione di comodo che nel 2003, abrogando l’obbligo della parità di trattamento economico e normativo, ha avvantaggiato le aziende e permesso loro di usare le esternalizzazione per abbattere il costo del lavoro, rompendo l’unità contrattuale dei lavoratori in azienda.
Qualcuno dice che se un contratto è firmato dai confederali non si può parlare di dumping contrattuale. La mia esperienza di dirigente sindacale di categoria nel settore della conoscenza e dei servizi, di dirigente confederale che si è occupato negli anni della privatizzazione e regionalizzazione del collocamento di mercato del lavoro è che questo sia un argomento superficiale: i contratti hanno una storia e riconoscono livelli di professionalità e di produttività tra loro diversi in un rapporto che non è mai costante tra valore del lavoro e plusvalore. Penso che tutti abbiamo chiaro che il lavoro di un insegnante “vale più” di quello di un bidello, ma che il lavoro di un bidello non “vale di più” (a differenza di quello di un addetto alle biglietterie di un museo o di addetto alla distribuzione in una biblioteca) di quello di un lavoratore dei multiservizi. La differenza retributiva e normativa di condizioni di lavoro, dipende esclusivamente dal fatto che si scarica sul lavoratore il risparmio del costo di gestione del servizio. Il contratto di riferimento di un addetto alle biblioteche, alle biglietterie dei musei sarebbe senza alcun dubbio quello applicato nel Ministero dei Beni culturali, nei Comuni, nelle Università, negli istituti di ricerca. La grande conquista del passaggio diretto nei cambio di appalto, così come quella parziale sulla responsabilità solidale dell’appaltante limitano, ma non annullano le conseguenze della separazione di un contratto collettivo dal ramo merceologico di applicazione! Per includere: riconquistare il contratto unico dentro ogni impresa e unità produttiva e l’inserimento dell’obbligo del passaggio diretto in tutte le clausole d’appalto!
L’altra condizione è che si estenda l’area di lavoratori protetti da un contratto collettivo di lavoro. Una guerra contro l’emarginazione e la solitudine che ha nella FILCAMS-CGIL, nella FLAI, nella FILT e nella FP e nella FILLEA, in NIdiL le strutture portanti. Al di là della efficacia comunicativa, che non sono in grado di valutare, ma che sicuramente c’è stata e, quel che più conta, del “ritorno” organizzativo per il numero di lavoratori avvicinati e sindacalizzati, la campagna “Backstage quanto lavoro c’è” ha messo a frutto e reso impegno nazionale di categoria, una esperienza che i compagni e le compagne della Romagna, che ci ospita conoscono benissimo e che ha un precedente che voglio ricordare, quando la FILCAMS-CGIL napoletana, segretario Raffaele Lieto, tesserandoli alla FILCAMS tra il 2013 e il 2016, ha dato una tutela, una prospettiva e una organizzazione, a decine e decine di lavoratori stagionali che fino ad allora mai avevano saputo di avere un sindacato che li poteva organizzare e tutelare. Sono contento che Pasquale, il compagno che fece quella esperienza pilota, sia qui con noi, sia pure come formatore.
La strada dell’inclusione contrattuale è difficile e irta d’ostacoli. Tuttavia è l’unica strada percorribile per un sindacato confederale!
Quando in una vertenza sindacale si vince, tutto va bene. I risultati vanno “messi in cascina” utilizzando la forza acquisita per far crescere il consenso organizzato, le adesioni e la rappresentanza sindacale aziendale.
Quando si perde comunque ci sarà un indebolimento e un discredito del sindacato a tutto vantaggio del padrone. Lì si misura la capacità delle avanguardie di trarre lezione e gestire la sconfitta.
Ci sono momenti in cui, alla fine di una vertenza, si può scegliere solo tra la testimonianza e la resa: in quei casi è preferibile - per l’organizzazione - la soluzione che consente il permanere della struttura organizzata - che è un valore in sé. Questa soluzione non è facile da individuare e dipende da ogni singolo caso.
I demagoghi che contrabbandano rese e sconfitte per vittorie fanno un cattivo servizio al sindacato e ai lavoratori. Anche quelli che criticano e promettono soluzioni impossibili sono demagoghi. Una sinistra sindacale che si esercitasse – in questa fase di crisi economica e di resistenza – nella politica del “+1”, nel dare il voto con la matita rossa e blu agli accordi, a vedere ovunque un vertice che “tradisce” le aspettative (e le lotte) di una base sempre più avanti e radicale, sarebbe ridicola e ininfluente, salvo per i danni che può fare distogliendo preziose energie di militanti combattivi dall’impegno concreto. Questo sono oggi quei compagni che – con una flebile eco di quello che fu Alternativa sindacale – recitano il cliché della opposizione in CGIL. Mettendo in ridicolo, oltre a loro, anche l’idea e il concetto di area programmatica.
Noi di Lavoro Società non abbiamo né da pungolare, né da sottoporre ad esame il lavoro quotidiano e la politica rivendicativa e contrattuale della FILCAMS-CGIL. Nella situazione data, la categoria conosce le difficoltà determinate dalla crisi - mentre l’operato dei singoli, noi compresi, è come sempre passibile di osservazioni e critiche – ed è interamente e lealmente dentro la strategia dell’organizzazione, affronta le difficoltà di rapporti di forza sfavorevoli e guadagna ogni giorno fiducia e consenso tra le lavoratrici e i lavoratori. Ciascuno di noi, nella sua RSA/RSU, nel suo territorio, nel suo comparto contrattuale partecipa con il proprio contributo di idee e di militanza e ne valuta collettivamente gli esiti, con l’insieme delle compagne e dei compagni della FILCAMS-CGIL.
Lavoro Società
Siamo impegnati, dalla conclusione del XVIII congresso confederale, in un processo che vorremmo largo e inclusivo che ha l’ambizione di andare oltre Lavoro Società, la sua storia quasi quarantennale, da Democrazia consiliare ad oggi, passando per Essere sindacato e Alternativa sindacale, Lavoro società cambiare rotta a Lavoro Società per una CGIL unita e plurale, sinistra sindacale confederale, affinché in CGIL, nella dimensione di maggioranza, viva il pluralismo di una sinistra sindacale di valori, basata sulla idea di una società di liberi e uguali, sul riconoscimento del carattere irrimediabilmente antagonistico della lotta tra le classi sociali, sulla necessità di superare i rapporti di produzione e il modo di produzione capitalistico.
Lavoro Società – Cambiare rotta si costituisce nel 2002, al XIV Congresso della CGIL sulla base di un documento che, criticando le politiche rivendicative tenute alla CGIL fin dai primi anni 90, ne chiede un profondo cambiamento. Il documento che verrà sottoposto al voto e alla discussione degli iscritti esprime una valutazione critica della globalizzazione che rendendo i ricchi più ricchi e i poveri più poveri, destabilizza le conquiste sociali, contrattuali e legali dei lavoratori. Critica la politica concertativa seguita, in Italia, all’accordo del luglio 1993 che ha redistribuito il reddito a favore dei ceti più abbienti e propone una resistenza alla flessibilità del lavoro che aumentano l’area del lavoro povero e non tutelato, uno stato sociale capace di rispondere ai bisogni degli strati più deboli e precari del mondo del lavoro e un intervento pubblico in economia.
Se guardiamo alla CGIL possiamo soltanto registrare – tanto più con l’ultimo congresso – che nel processo avviato con la Segreteria unitaria di Sergio Cofferati e proseguito con stop and go anche con le segreterie di Guglielmo Epifani e di Susanna Camusso, tanta parte delle nostre critiche sono diventate linea della organizzazione. Purtroppo, quello cui ci opponemmo negli anni 80/90, denunciando i cedimenti, la mancanza di attenzione e di coerenza dell’organizzazione, è diventata una devastante realtà: precarizzazione del lavoro, smantellamento dello stato sociale, privatizzazioni e venir meno della mano pubblica in economia.
Il congresso nazionale tenutosi a Bari nel gennaio di questo anno ha visto confermati, nelle sue conclusioni, l’identità e le radici della CGIL, indicando la sua idea alternativa di Europa sociale e solidale, uno sviluppo che non distruggesse la natura, l’unità del paese da Nord a Sud, contro le richieste ingiustificate di autonomia regionale e differenziazione.
Basta ascoltare Maurizio Landini quando fa vivere con poche ed efficaci parole d’ordine tutta la nostra linea incentrata sulla “Carta dei diritti” per rendersene conto. E, oltre a questo, i nostri documenti congressuali – pur nei necessari compromessi – segnano una svolta che viene da lontano e che si è affermata nella organizzazione, prima nella elaborazione e lentamente nella prassi, dove incontra ancora resistenze e si scontra con la difficoltà del quadro sociale economico e politico che ho descritto.
La raccolta delle firme per i referendum del lavoro (che ci sono stati scippati) e la Carta dei diritti segnano uno spartiacque: al centro non ci sono le compatibilità macroeconomiche (che pure non vanno ignorate), ma i diritti della gente che lavora. E torna la centralità del lavoro, come pilastro delle libertà e dei doveri sanciti nella Costituzione repubblicana. Cittadini in quanto lavoratori. La precarietà dunque, non come male necessario e contingente o come risultanza della nuova organizzazione del lavoro, ma come negazione di un principio di libertà e uguaglianza. Da questo la CGIL non può recedere. La CGIL pur nella consapevolezza della difficoltà oggettiva che deriva dall’indebolimento delle basi materiali della organizzazione sindacale di resistenza, nata intorno al lavoro organizzato e organizzabile nei posti di lavoro con una dimensione tayloristica o intorno a professionalità specifiche e identificabili, ha riconquistato la funzione di sindacato generale di classe!
Qualche problema comunque resta ed occorre restare vigili. Tutta la discussione sulla questione fiscale è segnata da una diffusa idea che si possano pagare meno tasse a prescindere, mentre la condizione per ridurre la pressione fiscale è che tutti paghino in proporzione al reddito, che siano tassati rendite e patrimoni e che s’intervenga sulle aliquote fiscali, elevando la quota esente, diminuendo le aliquote basse e medie ed elevando quella massima, aumentando le detrazioni per il lavoro dipendente. Detassare gli aumenti, peggio ancora diminuire la contribuzione previdenziale, aumentare le quote di risorse defiscalizzate e senza oneri destinati al welfare aziendale e contrattuale sono altrettante mine per il carattere generale e confederale del sindacato.
Non ci possiamo nascondere dietro ad un dito: il condurre la battaglia generale per i diritti di tutti i lavoratori e le lavoratrici, a partire dalla loro collocazione nel mercato del lavoro e “a prescindere” dalla definizione giuridica formale del loro rapporto di lavoro, se da un lato allarga la sfera di potenziale rappresentanza e tutela e unifica il mondo del lavoro così come esso è oggi, dall’altro spinge verso un ripiegamento corporativo aziendale e categoriale per non perdere il segmento di lavoro organizzato e tutelarlo di fronte al ripiegamento dello stato sociale universalistico, a vantaggio di una versione neocorporativa e bilaterale del welfare lavoristico, per sua natura precario e incerto nella durata temporale perché legato al rapporto di lavoro in essere.
Su come tenere insieme le cose, occorre riflettere per determinare scelte coerenti con la linea generale e compatibili con il quadro sociale dato.
Questo bilancio si completa con una valutazione realistica del nostro peso nella CGIL: dopo aver contribuito in maniera determinante alla nuova linea concorrendo per tre congressi a comporre le segreterie nazionali confederali e di numerose categorie, la nostra presenza si è ridotta, a partire dalla esclusione dalla segreteria confederale per arrivare alle singole categorie e alle strutture confederali territoriali.
Questa situazione non è stata determinata solo dalle “male arti dei riformisti”, né solo dalle pulsioni suicide della sinistra italiana, che si sono alla fine riverberate anche nel nostro gruppo dirigente, ma anche da un elemento oggettivo. La funzione che abbiamo svolto per oltre un ventennio nella CGIL e nel movimento sindacale italiano, a partire dai luoghi di lavoro per arrivare nelle strutture di base e ai vertici della organizzazione, ha raggiunto un importante obiettivo. Evidentemente, oggi, nella organizzazione non si avverte – o non si vuol considerare – la necessità di una presenza caratterizzata. Per chi si caratterizza su basi programmatiche non avrebbe senso mantenere divisioni artificiose. Neppure in FILCAMS. L’ultimo compagno della sinistra sindacale che ha avuto un ruolo di responsabilità di segreteria è stato Maurizio Scarpa. Da allora, travolti, dalla politica di rottamazione generazionale promossa dal segretario Martini – nonostante abbiamo le risorse per poter concorrere alla formazione della segreteria con compagne e compagni che rispondono ai “requisiti”, a nessuno di noi è stata avanzata la proposta.
Una questione aperta e da risolvere.
Serve ancora la sinistra sindacale?
Nel lontano 1984, allo sparuto gruppo di compagni – tutti maschi! – che firmarono il documento costitutivo di Alternativa sindacale, avessero chiesto: siete la sinistra sindacale? Quei compagni, tutti dell’estrema sinistra, avrebbero risposto che quella definizione non era del tutto corretta. Si sentivano espressione della base sindacale, di una linea che aveva attraversato tutte le confederazioni e che si era opposta alla linea dei sacrifici. Stavano in CGIL un po’ per la storia, un po’ perché l’intelligenza e la lungimiranza del gruppo dirigente di allora – Segretario Luciano Lama – seppe riconoscere una piccola minoranza che tuttavia portava in CGIL anche compagne e compagni che si allontanavano o che erano stati allontanati da CISL e UIL e che si sarebbero potuti disperdere nel sindacalismo autonomo e di base e riconobbe il pluralismo, verso tutte le posizioni anche le più radicali, come elemento fondativo del patto costituivo della CGIL. Per me, delegato sindacale prima alla Esselunga, poi all’Università di Firenze – costretto a forza nella camicia della Terza componente - l’incontro con un collettivo militante e di classe.
Noi non siamo stati la sinistra sindacale, perché la CGIL era della sinistra, casa comune dei lavoratori, saldamente ancorata ai valori socialisti e democratici dei suoi dirigenti e del corpo intermedio, fosse esso comunista, socialista o demoproletario.
Il compagno Landini, quando sottolinea la possibilità di superare le divisioni sindacali – obiettivo giusto e strategicamente condivisibile – sottolinea che questo sarebbe possibile perché non ci sono più i blocchi contrapposti e i partiti politici (PCI, PSI, DC) del dopoguerra. Le cose non sono così semplici. La CGIL fu scissa, nel 1948 soprattutto perché le forze moderate non ressero che la sinistra rappresentasse, in libere elezioni interne, basate sul metodo proporzionale! – la stragrande maggioranza dell’organizzazione. Nel I congresso di Firenze, nel 1947, furono eletti nel Comitato direttivo, a voto segreto e su liste da tutti gli iscritti, 38 comunisti, 20 socialisti, 11 democristiani , 6 di correnti minori. Per le sinistre una maggioranza superiore ai tre quarti. Gli americani misero a disposizione la macchina politico organizzativa e le risorse dell’AFL-CIO.
Il contributo congressuale “per una CGIL unita e plurale” che abbiamo presentato nel 2018 diceva: vogliamo continuare ad essere soggetti attivi di una rappresentanza sociale più ampia, protagonisti di una nuova stagione di elaborazione e di mobilitazione generale nella quale tante differenze si uniscano in una proposta di alternativa sociale basata sull’inclusione, sulla dignità e il valore del lavoro, delle lavoratrici e dei lavoratori.
Lo ripeto in ogni intervento pubblico da due anni: bisogna essere rossi ed esperti perché essere esperti è una qualità che si costruisce con lo studio e l’esperienza, ma l’essere rossi è una qualità che bisogna avere prima e che non bisogna smarrire mai;
essere rossi vuol dire avere essere ribelli verso lo stato di cose esistente, ribelli verso la sfruttamento e la prevaricazione, solidali verso i propri fratelli e sorelle di classe, animati dalla fiducia che le cose possano cambiare, irriducibilmente ottimisti sul successo della nostra buona causa. Bisogna essere rossi. Esser rossi vuol dire avere chiaro che nel lavoro sindacale la bussola d’orientamento è la trasformazione sociale.
La CGIL è un bene comune, da preservare e da rinnovare costantemente. Per questo c’è bisogno di una CGIL sempre più confederale, unita e plurale. Per la CGIL del futuro il miglior anticorpo contro la burocratizzazione e la pigrizia mentale è il pluralismo, riconosciuto e valorizzato su basi culturali e programmatiche. Non siamo per rinchiuderci nella prigione delle identità originarie o delle asfittiche correnti nel e di partito.
Ribadiamo la nostra disponibilità, naturale conclusione l’esperienza collettiva organizzata di Lavoro Società.
Un percorso aperto, finalizzato a concludere una fase della nostra esperienza. Non della nostra storia. Non vogliamo disperdere la ricchezza collettiva di una sinistra sindacale che si è espressa in CGIL attraverso varie fasi e utilizzando le varie forme organizzate alla luce del sole, in aree di minoranza, programmatiche o congressuali.
Siamo oggi disponibili al confronto aperto per dare vita non ad “una” sinistra sindacale ma “alla” sinistra sindacale, che vada oltre noi e che, nelle forme e nelle modalità che decideremo insieme, concorra a far navigare tutta la CGIL in mare aperto, avendo certo l’approdo comune.
Continueremo a essere un’aggregazione di pensiero, di idee, di valori non per distinguerci ma per contribuire al confronto, al sostegno delle scelte assunte con coerenza e lealtà verso l’organizzazione e il Segretario generale. Manifesteremo ancora liberamente il nostro pensiero, la nostra critica con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione, anche attraverso la concertazione di iniziative liberamente manifestate pure tramite i canali di organizzazione - posizioni collettive di minoranza e di maggioranza, così come previsto nell’articolo 4 dello Statuto.
Il nostro seminario
Nel 2017, dedicammo il nostro seminario al compagno Bruno Rastelli, quadro sindacale sperimentato, militante comunista del PCI, leader del Consiglio dei delegati della CGT-CLS. Quest’anno dedichiamo il nostro seminario alla compagna Sandra Cappellini, figlia di una sarta e di un operaio di fabbrica. Entrata a lavoro alla Sammontana a metà anni 90 e in consiglio di fabbrica nel 2001; nel 2007 viene distaccata alla FLAI-CGIL per l’area Lavoro Società e ne diventa segretaria generale poco dopo, per diventare a fine mandato segretaria regionale della CGIL Toscana. Sandra era nata nel 1968 ed è deceduta nel 2014. Donna, operaia e comunista. In queste tre parole sta il profilo di Sandra. Dedicare il seminario a lei, dopo Bruno, è simbolicamente un passaggio di testimone tra due generazioni di dirigenti sindacali, della sinistra del sindacato, così differenti tra loro, ma accomunati dagli stessi imperituri ideali ed un gesto di affetto e di riconoscenza verso Sandra che tanti di noi hanno conosciuto. Ringrazio sua nipote Arianna, nostra compagna dell’INCA CGIL per la presenza e ringrazio Rossano Rossi che con Sandra ha condiviso la militanza in azienda e fuori in un sodalizio umano e politico fortissimo, per aver accettato di ricordarla in un intervento dedicato.
Nella cartella che vi abbiamo consegnato al momento della registrazione, troverete anche quattro libri. Libri che offrono informazioni, chiavi di lettura, testimonianze. Nell’attesa che qualcuno si decida a raccogliere i documenti dell’ampio movimento sindacale di classe che si è sviluppato nel nostro paese per contestare le politiche concertative e di collaborazione di classe che sono passate alla storia come “politica dei sacrifici”, concertazione, politica dei redditi, “invarianza dei salari, tranne per la parte legata alla produttività”, Un movimento che ha finito per influire alla fine sulla stessa CGIL e del quale i più anziani tra di noi sono stati protagonisti e partecipi, i testi che vi invitiamo a leggere testimoniano un approccio alla militanza (Le 5 bandiere / Montagni), alla storia della nostra area (Spine rosse / Andruccioli), all’analisi dell’organizzazione, oltre ciò che appare (Il domani incerto del sindacato / Straini) e a come i delegati e le delegate della CGIL si rappresentano (Con parole loro / Nacinovich).
Nel leggerli, ricordatevi queste parole della fondatrice della pedagogia contemporanea, Maria Montessori: “insegnare i dettagli significa portare confusione. Stabilire i rapporti tra le cose significa dare conoscenza”. Cercate il dettaglio per curiosità, ma esercitate la vostra intelligenza nel vedere i nessi tra le cose, tra struttura e sovrastruttura, tra politica ed economia, tra psicologia sociale e classi.
Quando studiate una questione verificate le fonti, la loro attendibilità, ma anche il loro orientamento, confrontate fonti diverse, se si tratta di dati statistici scegliete una chiave di lettura, usate e mettete a profitto il vostro senso critico! Confrontate sempre la vostra esperienza con quella di altri e siate pronti a rinunciare ad una vostra opinione se nel confronto collettivo emergeranno fatti, ragionamenti, elementi di analisi e di teoria sottoposti alla verifica della prassi.
La sinistra sindacale in FILCAMS-CGIL
Nel processo di crisi e di ridefinizione della sinistra CGIL, apertosi con il XVII Congresso del 2014, noi della FILCAMS-CGIL abbiamo rappresentato un elemento tenace di tenuta e mantenuto aperto con vivacità e determinazione una prospettiva. Ha contato in questo, l’aver sempre mantenuto un legame tra noi, fatto di discussioni, solidarietà, studio collettivo, condivisione di percorsi. Le riunioni periodiche di coordinamento, le riunioni territoriali, il nostro bollettino telematico “reds”, che continua ad uscire ormai da 8 anni – sebbene privo di finanziamenti da parte della FILCAMS-CGIL proprio dal 2014 – (colgo l’occasione per salutare il nostro direttore responsabile Riccardo Chiari e la nostra notista politica Frida Nacinovich che sono qui con noi!) , la riunione seminariale del novembre 2017, proprio qui a Rimini, hanno segnato questo percorso, dandoci continuità politica e organizzativa.
Il mancato finanziamento di “reds” è un vulnus statutario. Mentre il fatto che Reds esca regolarmente e che sia letto nella categoria e fuori di essa, anche fuori dalla CGIL è un fatto che ci da soddisfazione. Ci aspettiamo da questo seminario l’effetto indotto di aumentarne i corrispondenti e di ricevere le critiche necessarie.
Siamo disponibili in FILCAMS, se le compagne e i compagni lo vorranno, a metterci a disposizione, utilizzando l’articolo 4 dello Statuto, per coordinare in categoria le riflessioni e le discussioni della sinistra sindacale, senza vincoli formali di appartenenza organizzativa che non siano quelli della CGIL, solo sulla base dell’affidamento al confronto reciproco.
Lo studio e il confronto politico vogliono essere e sono la cifra distintiva per dare una prospettiva a quanti , sperimentate sulla propria pelle le contraddizioni del lavoro, abbiano sentito la necessità di reagire alle angherie e ai soprusi, siano determinati a difendere e rivendicare i loro diritti e la loro dignità di lavoratori e vogliano con la lotta socializzare questa loro determinazione; agli uomini e alle donne che si impegnano iscrivendosi e partecipano alla vita sindacale per far vivere il sindacato tra i lavoratori e per portare il punto di vista dei lavoratori dentro le strutture sindacali, nelle sedi, nelle riunioni, nel momento di prendere le decisioni. Abbiamo bisogno che questi militanti siamo preparati sul piano culturale, politico e sindacale, perché l’esperienza è fondamentale, ma deve essere accompagnata da senso critico e consapevolezza. Le generazioni di militanti passano, le condizioni dell’agire sono diverse e contestuali alla fase, ma il senso profondo dell’essere un militante consapevole del movimento operaio resta: è l’unica cura che abbiamo contro i processi di involuzione burocratica, del pressapochismo, del prevalere del tran-tran quotidiano in quello che facciamo nei posti di lavoro e nelle strutture sindacali.
La battaglia delle idee, il confronto di merito, il mantenere sempre come bussola d’orientamento la difesa dei diritti dei lavoratori, perseguire la loro unità e legare l’attività quotidiana alla prospettiva della trasformazione sociale, questo è il “modus operandi” di un sindacalista quale noi vorremmo essere!
Ecco il frutto più prezioso della nostra azione: il senso di unità, di appartenenza collettiva e solidale. Per questo risultato vale sempre lavorare, lottare, impegnarsi a fondo!
Sindacalisti e militanti della CGIL del futuro, con le radici ben salde, ma non con la testa volta all’indietro.