Nella sua prima uscita pubblica da neo-segretario del Pd, un sorridente Nicola Zingaretti ha voluto incontrare sotto la Mole Antonelliana il presidente regionale piemontese Sergio Chiamparino, pasdaran della Torino-Lione. Circondato da fotografi e giornalisti, dalla piazza che ha ospitato in questi mesi due manifestazioni pro Tav, il segretario Zingaretti ha dettato così la linea del suo partito: “Abbiamo dati sugli indici di fiducia economica drammatici. I cantieri del paese sono fermi. La Tav è un simbolo di come non ci si deve comportare. Il blocco lo sta pagando tutto il paese ed è inaccettabile. Per questa ragione i bandi Telt non si devono interrompere, sarebbe un gesto criminale perdere investimenti per il lavoro”.
Di per sé la presa di posizione di Zingaretti non è una novità, visto che il “sì” ad ogni maxiprogetto di linee ad alta velocità ferroviaria è la posizione storica del Pds, dei Ds e del Pd. Dunque si tratta di una strategia politica che va avanti da almeno un quarto di secolo, a prescindere dalle realizzazioni necessarie (come la colonna vertebrale Tav lungo l’asse nord-sud della penisola) o no (la Torino-Lione); dagli enormi costi – e sprechi – sostenuti dalla collettività; e dai disastri ambientali sopportati da alcuni territori nella fase di esecuzione della grande opera, come accaduto in Mugello una ventina di anni fa.
Il gesto politico di Zingaretti travalica però la stessa ratio della grande opera. Sul punto ben osserva la direttora de ‘il manifesto’ Norma Rangeri: “Zingaretti sceglie la continuità. Ma rispetto alle proposte politiche capaci di rispondere al paese che non ce la fa, e in grado di sollecitare le nuove alleanze a sinistra per una alternativa di governo, si può dire che la trasferta torinese vada nella direzione opposta”.