La cartellonistica di Giovanni Maria Mataloni e il lavoro come eroismo
E’ il 1904 e la sala del Bibiena del Teatro Comunale di Bologna ospita l’VIII congresso del PSI. Sono presenti 884 delegati, in rappresentanza di oltre 30 mila iscritti. Il congresso si svolge tra i contrasti delle due principali tendenze, quella riformista di Filippo Turati e Leonida Bissolati, favorevole alla partecipazione al governo e fedele alla monarchia, e quella massimalista di Arturo Labriola e Enrico Leone. L’evento viene annunciato dai giornali e tra le pagine dell’inserto domenicale dell’Avanti! è la cartolina dell’illustratore e cartellonista Giovanni Maria Mataloni a segnalarlo.
L’opera dimostra l’influsso del Liberty nella vita del mondo operaio: Il nudo maschile allegorico, la cui fortuna è successiva a quella della figura femminile, segna all’inizio del secolo la nascita di un’iconografia di classe. In un paese da poco unificato, sono passati meno di cinquant’anni dalla proclamazione dell’Unità, il Liberty si fa interprete dell’aspirazione al raggiungimento di un linguaggio artistico nazionale comune che rappresenti il progresso e la modernità. Gli artisti del tempo proclamavano la loro volontà di fondarsi sulla realtà del presente, escludendo ogni distinzione e gerarchia fra le varie arti.
Ed ecco allora che su uno sfondo occupato da una struttura in metallo, che da una parte ricorda la Tour Eiffel simbolo della Belle Époque, e dall’altra una vetrata medievale, campeggia una figura maschile che imponente e leggiadra allo stesso tempo sembra dirigersi verso lo spettatore.
Nella rappresentazione del corpo Mataloni è profondamente influenzato dal noto illustratore per l’infanzia Walter Crane, collaboratore e discepolo di William Morris riconosciuto a sua volta come ideatore del movimento Arts and crafts che pose con forza la questione della bellezza nei più umili utensili quotidiani portando, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, proprio alla nascita del cosiddetto Liberty.
L’immaginario rappresentato da Mataloni è quello di un maschio rassicurante che in una mano brandisce il martello, simbolo di forza e del lavoro manuale, e nell’altra la statuetta di una figura femminile che porta con sé spighe di grano, da sempre immagine di vitalità ed energia. Tornano a risuonare nella mente le parole di Gabriele D’Annunzio in “Canto di festa di Calendimaggio” pubblicato sul numero speciale dello stesso giornale il 1 maggio 1900: Uomini operatori, anime rudi / ansanti nei toraci vasti, eroi / fuligginosi cui biancheggian buoni / i denti in fosco bronzo sorridenti / e le tempie s’ imperlano di stille; / voi che torcete il ferro su le incudi / il pio ferro atto alle froge dei buoi, / alle unghie dei cavalli, atto ai timoni / dei carri, atto agli aratri, agli strumenti / venerandi delle opere tranquille, / voi presso il fuoco avito seminudi / artieri delle antiche fogge; e voi / negli arsenali ove dà lampi e tuoni / il maglio atroce su le piastre ardenti, / atleti coronari di faville;”.
Ad essere messo in scena è l’eroizzazione e idealizzazione del lavorato e dell’industria in uno stile che uniforma la comunicazione all’interno e all’esterno del mondo del lavoro del quale infatti non sono rappresentate né la fatica né le precarie condizioni. Per la prima volta fanno la loro comparsa gli strumenti del lavoro manuale a rappresentare un’ideale società futura e la lotta all’emancipazione basata sulla centralità della classe operaia. L’immagine sembra richiamare la speranza di Morris di una radicale riforma che agisse non solo sulle arti, ma anche sulla societaà ispirandosi ad un modello di vita comunitaria premoderna come quella medioevale del villaggio e delle corporazioni artigiane con uno spirito di socialismo umanitario ed utopistico finalizzato ad eliminare la divisione delle classi e far si che tutti potessero fruire di prodotti di buona qualità.