Come nel campionato di calcio, anche in politica a fine maggio si tirano le somme. Come l’Empoli che, pur giocando bene, è uscita dalla serie A, così la Sinistra - quella con la esse maiuscola - è uscita dall’Europa. All’opposto, la Lega ha fatto come la Juventus, andando ben oltre il 30% delle preferenze, dando dieci punti di scarto alla seconda. Che è il Pd e non sono i Cinque stelle, deludenti al pari del Milan e della Roma, rientrati in Europa per la porta di servizio, con una pattuglia non certo all’altezza della squadra che appena un anno fa aveva stravinto il campionato delle politiche. A proposito, se in Champions vanno in quattro e in Uefa altre tre, nel parlamento europeo sono entrati soltanto in cinque. Fra queste, l’Atalanta della situazione è stata Fratelli d’Italia, che nel 2014 non raggiunse il quorum del 4%, che cinque anni dopo lo ha raggiunto e superato comodamente. Certo, paragonare il mister orobico Gasperini alla pur volitiva Giorgia Meloni è un azzardo, troppo grande per chi scrive. Del resto il calcio è anche metafisica, così come la politica. Basta ricordare Matteo Salvini con la felpa di Casapound al derby meneghino, concluso con la sconfitta del ‘suo’ Milan. Mentre il Napoli è arrivato comodamente secondo in campionato, ma il suo tifoso illustre Luigi Di Maio ha penato alle europee e continua a penare nelle fibrillazioni governative che si sono subito dopo manifestate all’interno della strana coppia giallo bruna. Sui pentastellati si potrebbe scrivere un libro. Passi l’affacciarsi dal balcone di piazza Venezia, offrendo un’immagine di mussoliniana memoria dopo l’approvazione del cosiddetto decreto dignità. Ma dichiarare la “fine della povertà” grazie al reddito di cittadinanza, entrato in vigore furbescamente alla vigilia delle europee, proprio mentre interi siti produttivi chiudevano, lasciando migliaia di lavoratrici e lavoratori in braghe di tela (da Bekaert a Frama action, per finire con i recentissimi casi di Mercatone Uno e Whirlpool), ha un che di provocatorio. A Napoli agiteranno i cornetti rossi al prossimo annuncio trionfale del delfino della premiata coppia Grillo e Casaleggio, la sensazione netta è che Di Maio non si renda conto della situazione nel paese. Limitandosi, come Grimilde, a interrogare la piattaforma Rousseau come fosse lo specchio incantato del castello di Biancaneve. Uno specchio che non ha dubbi quando si tratta di dire chi sia il più amato fra i Cinque stelle, e cioè Di Maio. Ma con altrettanta certezza sentenzia che il più amato dalle italiane e dagli italiani è Matteo Salvini.
I diletti figli del dio Po hanno allargato lo sguardo ben oltre il ricco nord del paese, la calata verso il mezzogiorno d’Italia era già iniziata lo scorso anno, adesso si è trasformata in una conquista che fa venire in mente il Risiko, con i carri armati verdi scuri dilaganti sulla carta geografica della penisola. Per effetto diretto dell’annata positiva della Lega, Salvini urla ancora più forte che in passato: vuole, fortissimamente vuole, la flat-tax (15% di tassazione per tutti gli autonomi che guadagnano fino a 60-70 mila euro), vuole cancellare il codice degli appalti - tra la costernazione delle organizzazioni sindacali, e di chiunque voglia conservare un minimo di legalità nel paese - vuole chiudere l’intero settore della cannabis legale, e naturalmente continuare ad alzare muri per difendere la fortezza Italia dall’invasione di quegli straccioni di migranti, colpevoli solo di scappare da guerre e carestie provocate, va da sé, dagli uomini bianchi il cui animo predatorio non ha confini.
Dalle elezioni europee viene fuori un paese a forte trazione leghista, così come cinque anni fa era uscita un’Italia saldamente Pd oriented, visto che l’allora presidente del consiglio Renzi aveva guidato il partitone tricolore a un trionfale 41%. Cosa sia successo dopo lo abbiamo visto: politiche nitidamente liberiste, a partire dal jobs act, e un referendum su una riscrittura della Costituzione dettata dalle grandi banche di affari Usa, hanno allontanato milioni e milioni di tradizionali elettori dem dall’ovile del Nazareno, nelle più disparate direzioni. Di qui il 18,7% alle politiche del 2018, e un 22,7 attuale che però, in termini di voti assoluti, non ha portato un reale aumento di consensi. Al quartier generale di Nicola Zingaretti hanno comunque il sorriso stampato sulle labbra: l’obiettivo era quello di superare i Cinque stelle, ed è stato centrato. Se la politica fosse una manche di Bridge, avrebbero vinto. Ora il partitone tricolore, che in campagna elettorale si è fatto notare più per i suoi silenzi che per la sua combattività, vagheggia nuove alleanze contro la trimurti della destra - quella formata da Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia. Ma da un lato a sinistra c’è ben poco da trovare, visto che al momento gioca un campionato minore. Dall’altro Matteo Renzi e i suoi, che contano ancora abbastanza nel partito - vedi risultato toscani - guardano invece al centro. E i Cinque stelle? L’alleanza Pd-M5S è morta ancor prima di nascere. Anzi, il sogno piddino è quello di svuotare progressivamente il serbatoio pentastellato.
Così come il sogno, nemmeno troppo nascosto, della Lega di Salvini è quello di annettersi Forza Italia. Il campionato riprende dopo la pausa estiva, la politica va avanti anche sotto l’ombrellone.