Nel pentolone della politica italiana bolle il taglio degli eletti dal popolo. Abbiamo scelto di parlarne con uno dei più attenti osservatori delle dinamiche politico parlamentari, il costituzionalista Massimo Villone, professore emerito della materia all’Università Federico II di Napoli, presidente del Coordinamento per la democrazia costituzionale
Come lei ben sa, il 29 marzo prossimo si dovrebbe decidere sul taglio dei parlamentari votato ad ampia maggioranza da Camera e Senato. Per risparmiare 57milioni di euro, che sono lo 0,007% del bilancio statale, circa 1,35 euro per singolo cittadino, un caffè all’anno, si passa da 630 a 400 deputati alla Camera e da 315 a 200 senatori a palazzo Madama. Il gioco vale la candela?
Certamente no. Nel referendum del 2016 M5S richiamava l’esempio del caffè contro la riforma Renzi-Boschi sul Senato. Hanno cambiato idea. Il risparmio è marginale anche per i bilanci di Camera e Senato, in cui le maggiori voci di spesa sono i servizi e il personale. Spese sostanzialmente incomprimibili. Il danno invece è grave, soprattutto nella politica di oggi. Un tempo, non ci si rivolgeva al deputato o senatore, ma all’organizzazione territoriale – sezione, circolo, federazione - del partito, che era l’interfaccia con l’istituzione. Oggi, con i soggetti politici in larga misura dissolti o evanescenti, il cittadino, l’associazione, il comitato cercano il deputato o senatore. Ridurre i rappresentanti significa, più di ieri, togliere voce ai rappresentati.
I sostenitori del ‘no’ osservano, giustamente a parer mio, che il taglio dei parlamentari ferisce, lede il principio della rappresentanza politica, purché meno sono gli eletti più distante è il loro rapporto con gli elettori e il territorio. Quelli del ‘sì’ invece parlano invariabilmente di taglio alla casta e ai suoi privilegi, in barba al funzionamento efficiente del Parlamento, visto che riducendo il numero dei parlamentari si lascia il processo legislativo in mano a pochi, e soprattutto di pochissimi partiti. Che ne pensa?
Il principio di rappresentanza è certamente leso, soprattutto per il Senato. Nove regioni hanno da due a cinque senatori. Anche con un sistema elettorale proporzionale, in non poche regioni solo due, o al più tre, soggetti politici otterranno seggi. Sul piano nazionale, probabilmente solo i due maggiori partiti avranno seggi in tutte le regioni. Si rischia che milioni perdano ogni voce. Il problema c’è anche per la Camera, sia pure in misura minore. Il danno alla rappresentatività non è bilanciato da una maggiore efficienza. Anzi. Solo i soggetti politici maggiori - due, tre – avranno abbastanza eletti da distribuire in tutte le commissioni, sedi cruciali del lavoro parlamentare. Gli altri dovranno assegnare a ciascuno dei propri - pochi - eletti più commissioni, con ripercussioni negative sulla qualità del lavoro, e sulla rappresentanza di elettori e territori. L’esito ultimo del taglio può essere solo spianare la strada alle lobbies e alle oligarchie politiche ed economiche.
Il taglio dei parlamentari è una sorta di ‘provvedimento bandiera’ per i Cinque stelle. Per certo è stato votato anche dalla destra, che notoriamente in Italia non ha le fattezze di una destra liberale. Ma perfino dal Pd e da Leu, che pure in un primo momento si erano detti contrari alla riduzione di deputati e senatori. Ma gli elettori, soprattutto quelli di questi ultimi due partiti, e più in generale di centrosinistra, e potremmo aggiungerci anche quelli di Forza Italia, saranno d’accordo con quello che hanno deciso gli eletti?
PD e LEU – e non solo - sapevano bene che sarebbe stato necessario avere prima il quadro delle modifiche costituzionali di completamento e soprattutto della legge elettorale. Il voto subito e a prescindere è stata una forzatura M5S. Si aggiunga che LEU è tra le forze politiche candidate a scomparire in molte regioni con la riduzione dei seggi, soprattutto in Senato. Lo stesso può dirsi di Forza Italia. Persino Fratelli D’Italia potrebbe non avere seggi nelle regioni dove due o al massimo tre soggetti politici riusciranno ad ottenerne. E se continuasse la caduta nei consensi, anche M5S dovrebbe temere una identica situazione. È improbabile che gli elettori dei partiti che hanno votato per la riforma giungano al referendum del tutto inconsapevoli di come sia nata male, e degli effetti che produce.
Se entrasse in vigore la legge su cui è stato indetto il referendum, la percentuale italiana di deputati ogni centomila abitanti scenderebbe allo 0,7, inferiore a tutti gli altri paesi dell’Unione Europea. Attualmente è appena superiore a Germania, Francia, Paesi Bassi e Spagna. Mentre in tutti gli altri paesi dell’Unione europea già oggi gli eletti alla Camera ogni centomila abitanti sono di più. Lei pensa che sarebbe un successo per la democrazia questa riforma?
La comparazione conferma che la riforma non trova motivazioni. Si iscrive oggettivamente in un quadro di anti-parlamentarismo e disfavore per la rappresentanza politica. Quadro che il Movimento 5Stelle fa esplicitamente proprio, aggiungendo al taglio dei seggi il mandato imperativo, il referendum propositivo, e la democrazia diretta della rete. È un indirizzo pericoloso, che però si può battere. Il primo passo è votare NO, il 29 marzo o in data successiva, qualora fosse opportunamente accolta la richiesta di rinvio per l’impossibilità, a causa del coronavirus, di svolgere una corretta campagna elettorale.