I lavoratori degli appalti: “invisibili” anche quando si reinternalizza - di Domenica Amadeo

Doveva essere una festa per tutte e tutti e invece quanta amarezza, ma la lotta continua

“Il percorso di internalizzazione non può e non deve lasciare fuori nessuno”. È passato qualche mese da quando scrivevo questa frase… Quel che sembrava un rischio, ciò che temevamo, è ora una certezza. Non sono stati sufficienti scioperi, manifestazioni, richieste di incontri, incontri, per trovare soluzioni: le nostre denunce sulle criticità del processo di internalizzazione sono rimaste inascoltate; le nostre continue richieste di un tavolo interministeriale per trovare soluzioni e garantire a tutte e tutti reddito e occupazione sono cadute nel vuoto.

Con il Decreto Dipartimentale 2200/2019 si è portato a conclusione il processo di internalizzazione dei lavoratori ex Lsu e appalti storici impegnati nei servizi di sanificazione e decoro delle scuole pubbliche italiane: un processo previsto dalla Legge di Stabilità del 2019.

Il 1° marzo doveva essere un giorno di festa per tutti, un giorno da ricordare perché avrebbe dovuto mettere la parola fine alla precarietà che ha sempre caratterizzato questa vertenza ventennale. Così non è stato. Il sogno si è trasformato per tanti, per troppi, in un incubo: l’incubo della perdita del posto di lavoro o del peggioramento delle proprie condizioni economiche.

Facciamo un passo indietro nella nostra storia. La platea dei lavoratori interessati è formata dagli ex Lsu e dai lavoratori degli appalti storici. Attraverso progetti comunali e provinciali, di concerto con il Ministero dell’Istruzione, questi lavoratori si sono occupati di pulizia, ausiliariato e decoro nelle scuole pubbliche sin dagli anni ’90. Nel 2001, gli ex Lsu che per venti anni hanno svolto un servizio essenziale e mantenuto le scuole belle e pulite hanno ottenuto finalmente la stabilizzazione nelle aziende private, con contratti a tempo indeterminato a 35 ore settimanali.

La Legge di Stabilità del 2019 ha previsto di internalizzare il servizio: scelta ottima e condivisa, che avrebbe dovuto eliminare la precarietà e migliorare la qualità del servizio. E che però ha prodotto la perdita di lavoro per 4mila lavoratori. E che ha dimezzato il contratto ad altri 4mila lavoratori, costretti a firmare un contratto part time al 50 per cento. Part time involontario. Part time di Stato.

La perdita di salario e diritti è un epilogo inaccettabile per un percorso che avrebbe dovuto riconoscere finalmente un ruolo diretto nella scuola. Una conclusione amara nella mia e nelle altre province italiane. Nel Salento, da dove provengo, la platea dei lavoratori interessati è costituita esclusivamente da ex Lsu: quindi tutti lavoratori dipendenti di aziende private, titolari di un contratto di lavoro a tempo indeterminato a 35 ore settimanali, con un reddito fino al 29 febbraio di poco inferiore a mille euro. Dal 1° marzo, dei 660 lavoratori interessati al processo di internalizzazione, solo 259 hanno avuto la fortuna di sottoscrivere un contratto full time a 36 ore settimanali che garantirà il reddito preesistente. Per altre 364 persone è stato disponibile solo un contratto part time a 18 ore settimanali: per loro solo metà stipendio. Gli altri colleghi sono a casa, senza alcun reddito, sospesi a zero ore dalle aziende che hanno interrotto il confronto, impedendo la ricerca di soluzioni. Per oltre il 60 per cento dei lavoratori leccesi, “internalizzazione” ha significato “peggioramento” o “assenza” del lavoro.

Ci sono responsabilità ben precise per tutto questo disagio. Ne è responsabile il Governo, che non ha mai mostrato interesse alla vertenza. Ne è responsabile in particolar modo il Ministero del Lavoro, che non ha mai né proposto né preso in considerazione le proposte sindacali per trovare soluzioni immediate e concrete. Ne è responsabile il Ministero dell’Istruzione, che non è intervenuto per ampliare la platea, per garantire il tempo pieno, per trovare soluzioni ai lavoratori part time che sono stati costretti a scegliere sedi di lavoro anche a 70 chilometri di distanza dalla propria residenza, in un territorio in cui sono completamente assenti mezzi di trasporto pubblici.

Avrei voluto fermare con uno scatto lo sguardo disperato di quei lavoratori, costretti a scegliere tra nulla e poco più di nulla. Avrei voluto che quegli sguardi arrivassero a chi, solo ora, ammette che qualche errore è stato fatto. Avrei voluto che da quegli sguardi qualcuno capisse che per una parte di quei lavoratori, prossimi alla pensione, si sarebbero potute trovare altre soluzioni. Tante altre volte, per altre categorie di lavoratori, le soluzioni sono state trovate. Non stavolta. Non per gli “invisibili” lavoratori degli appalti. Una cosa è certa però: per noi, questa battaglia, non finisce qui.


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