Un servizio “essenziale” per la collettività, ma “cenerentola” se si parla di diritti e di salario
L’emergenza Covid-19 ha portato alla luce e reso ancora più evidente quelli che sono da sempre i problemi di una categoria di lavoratori penalizzati dal punto di vista della stabilità economica e dei diritti: i lavoratori, soprattutto donne, che lavorano nel comparto della ristorazione, aziendale, scolastica e sanitaria. Lavoratori in appalto, che vedono messo in discussione il loro contratto di lavoro ad ogni cambio di gestione, quando scadono i termini della fornitura di servizio e a una impresa se ne sostituisce un’altra.
Il settore della ristorazione conta circa 97.000 lavoratori su tutto il territorio nazionale, tra scolastico, aziendale e sanitario e fornisce circa 860 milioni di pasti all’anno a studenti, lavoratori, degenti e anziani. Un servizio primario di cui troppo spesso si parla, per affermarne la grande importanza, dimenticando però i problemi che vivono le persone che vi operano.
Le mense scolastiche sono chiuse dal 23 febbraio. Chi lavora nel settore scolastico è stato a casa nella fase uno, è a casa nella fase due e ha grandissime incertezze sulla ripresa della propria attività (riprenderà, e in che maniera, l’attività didattica a settembre?) anche nella fase tre.
Le lavoratrici e i lavoratori delle mense scolastiche vivono da sempre il grande problema della “sospensione estiva”. Infatti, durante il periodo delle vacanze scolastiche, in cui il servizio mensa è sospeso, queste persone non percepiscono retribuzione, assegni familiari e non hanno la possibilità di accedere alla Naspi (indennità di disoccupazione) né altra forma di sostegno al reddito. Oltre ad essere penalizzati dal punto di vista retributivo, questi lavoratori, sono penalizzati anche dal punto di vista contributivo a causa dei mancati versamenti per l’accesso alla pensione di questi periodi di sospensione. La chiusura delle scuole a causa del Covid-19 aggiunge un problema ulteriore, con la riduzione della loro retribuzione anche nel periodo “lavorabile” dell’anno.
In questi anni la nostra categoria ha promosso diverse cause per ottenere l’accredito dei contributi anche nel periodo di sospensione estiva. Cause che hanno ottenuto sentenze positive ovunque. Purtroppo, però, questo risultato rappresenta una soluzione minima ai problemi degli oltre 100mila lavoratori impegnati non solo nella ristorazione, ma anche nella pulizia ed assistenza nelle scuole di ogni ordine e grado. Infatti, fino a quando non verrà modificata la normativa che discrimina i lavoratori con contratto part time verticale o orizzontale ciclico (cioè contratti che prevedono periodi di sospensione lavorativa in concomitanza con la chiusura delle scuole e delle attività didattiche) per queste persone rimarranno aperti i problemi retributivi già accennati.
Grazie alla nostra iniziativa numerosi emendamenti su questo tema sono stati inseriti in proposte di legge o decreti in discussione in parlamento. Fino ad oggi però tutte queste proposte sono finite nel cassetto, accantonate nella rubrica delle cose che andrebbero fatte ma che sembrano non interessare davvero nessuno.
Se questo quadro non fosse sufficientemente complesso è necessario ricordare sempre che un lavoratore impiegato nel settore della ristorazione collettiva viene assunto con contratto part time di massimo 20 ore settimanali e che, di conseguenza, percepisce retribuzioni che si aggirano sui 500 euro mensili. Le ore di supplementari svolte e/o gli assegni familiari rappresentano spesso la “parte consistente” del salario percepito: l’integrazione necessaria per assicurare un reddito minimo, vitale.
L’ho già affermato nelle righe precedenti, ma voglio ribadirlo: quello svolto nelle mense è un lavoro essenziale per la collettività, denso di responsabilità, ma che, la storia insegna, diventa marginale quando si parla di diritti e di salario.
In un settore così fragile appare subito chiaro che il ricorso agli ammortizzatori sociali, indispensabili comunque in questa fase drammatica per il paese, ha avuto un effetto devastante. Mediamente, in questi mesi, un’addetta mensa ha percepito circa 300 euro di assegno ordinario mensile.
Retribuzione che in alcuni casi è stata anticipata dalle aziende, ma molto spesso no. Questo fatto ha lasciato famiglie intere senza alcun reddito per un periodo di tempo troppo lungo. Famiglie in cui la normale retribuzione non permette di accumulare risparmi per superare periodi complicati come questo.
Nelle mense aziendali la situazione non è migliore. Il blocco totale iniziato il 9 marzo, che ha portato alla chiusura di tutte le aziende ritenute “servizi non essenziali”, continua tutt’oggi per la stragrande maggioranza dei lavoratori della ristorazione aziendale. La chiusura degli uffici e il “lavoro agile” adottato massicciamente dalle aziende, salvezza di molte attività e posti di lavoro, hanno determinato la chiusura delle mense aziendali e la sospensione dell’attività di tutti questi punti di ristoro.
Se lo sviluppo del lavoro agile proseguisse anche al termine di questa crisi, tutti i servizi agli uffici (mense, pulizie, guardiania e portierato) subirebbero un colpo temibilissimo. Ci potrebbe essere una riduzione drastica e drammatica di questi posti di lavoro. Le conseguenze sociali non sono prevedibili ma l’ansia che ciò accada è tanta.
Ultima considerazione riguarda lo scenario a brevissimo termine: il “DL 18” ha previsto 9 settimane di ammortizzatori sociali fino al 31 agosto. Il “Decreto Rilancio” ne prevede altre 5 fino alla stessa data, oltre ad ulteriori 4, nei mesi di settembre e ottobre. Ma, calendario alla mano, chi è a casa dal 1° marzo sarà coperto soltanto fino al 5 giugno con gli ammortizzatori in deroga con causale “Covid-19”. Il periodo estivo è alle porte, si preannunciano mesi difficili ed una ripresa incerta. Su quale retribuzione potranno contare queste lavoratrici e questi lavoratori? E’ questo un tema che interesserà qualcuno, o resterà anch’esso nella rubrica delle cose che andrebbero fatte?