Con la pandemia sta implodendo un modello economico e sociale già in difficoltà; si evidenziano storture e limiti cronici, diseguaglianze e povertà nascoste, precarietà e disoccupazione; si pagano gli effetti dello svilimento dei beni comuni e di un sistema sanitario pubblico depredato da decenni di politiche privatistiche. E’ un evento tragico, colpisce negli affetti e ha portato via, per responsabilità che non vanno rimosse, una generazione, quella che era custode della memoria, ed impatta terribilmente sulle diseguaglianze di classe e di genere, su fragilità vecchie e nuove; mostra l’illusorietà delle pretese di un capitalismo disumanizzante, arrogante e rapace che ha accentrato ricchezze e poteri, utilizzato denaro pubblico per condividere perdite e privatizzare profitti, alzato muri patriottici e recinti razzisti, sfruttato e saccheggiato il territorio facendo pagare alla parte più fragile dell’umanità un prezzo altissimo.
La crisi è di sistema, epocale e profonda, e l’Italia non ripartirà se non cambierà radicalmente.
Calerà drammaticamente l’occupazione, si dovrà lavorare meno per lavorare tutti, e cresceranno i bisogni sociali essenziali. La sfida è: come si uscirà dalla lunga e tremenda crisi post Covid-19; chi la pagherà? Ci vorranno enormi risorse e un piano di rigenerazione dei servizi a tutela della salute pubblica, di valorizzazione del patrimonio ambientale e culturale, di trasformazioni produttive e di produzioni, di grandi investimenti pubblici, di creazione di buon lavoro, di nuove forme di inclusione e di accesso al reddito per i soggetti più deboli. Ci vorranno una dura lotta corruzione e mafie e una seria riforma fiscale, (pagare tutti per pagare meno!) che colpisca l’evasione e l’elusione e aumenti il peso delle tassazioni su rendite, patrimoni e transazioni finanziarie e riduca quello sul lavoro e l’economia reale.
Stanno cambiando esistenze e priorità, e non ha senso parlare di ritorno a una normalità che non esiste più. Resta il naturale bisogno di benessere sociale, di stare insieme, di riconoscersi, perché non c’è socialità umana senza vicinanza. Sono le connessioni umane, i rapporti affettivi, la partecipazione e il conflitto, gli ideali e i valori a rimanere essenziali per il futuro.
In questo mare in tempesta la CGIL deve mantenere la rotta decisa al Congresso e conquistare ciò che abbiamo indicato nel piano del lavoro e nel nuovo statuto delle lavoratrici e dei lavoratori. La nostra bussola è il lavoro, i diritti universali, la dignità della persona. Il nostro faro è la Costituzione.
Occorre dare voce, e rappresentare le sofferenze e i bisogni, organizzare e riunificare il mondo del lavoro per impedire che la rabbia sociale venga cavalcata dalle forze reazionarie e razziste e che vincano spinte corporative ed egoistiche.