I tre mesi che hanno cambiato il mondo non hanno cambiato la politica. Giuseppe Conte era il premier più amato dalle italiane e dagli italiani, lo è tutt’ora.
Nemmeno le cucine Scavolini, all’epoca della fortunata pubblicità televisiva, avevano un indice di gradimento così elevato. La Juventus di Maurizio Sarri può perdere ogni tanto una partita, come è successo in Coppa Italia, il governo Pd-5Stelle-Iv-Leu non può perdere.
Perché non esiste una squadra alternativa, se infatti il tandem Salvini-Meloni può andare d’amore e d’accordo - anche se alla sorella d’Italia non dispiace prendere tempo e voti a Papeete Salvini - il terzo volto della trimurti di destra, Antonio Tajani, non ha intenzione di smuovere troppo le acque.
I berlusconiani sanno bene che quando si apre una crisi si sa come comincia ma non si sa come finisce. E l’idea di un possibile ricorso al voto anticipato - sul punto il presidente Mattarella ha detto chiaramente che il secondo esecutivo Conte sarà l’ultimo della legislatura - non piace al Cavaliere, ai suoi parlamentari e probabilmente nemmeno ai suoi elettori. Finché la barca va, in questo anno tempestoso, lasciala andare.
A fare il lavoro sporco di raccogliere i fondi europei di aiuto ci pensa il Pd. Poi a prenderli, come già denunciato dallo zoccoletto duro di una sinistra che faticosamente resiste, ci pensano gli elettori di Forza Italia (e quelli di Italia viva): in primis gli industriali. Lo stallo quindi è destinato a prolungarsi. La vita però va avanti, e le elezioni regionali di settembre sembrano arrivare apposta per dare qualche soddisfazione alla destra orfana del governo nazionale.
Di sei regioni al voto (c’anche la Valle d’Aosta ma nessuno se la fila), solo due al momento potrebbero essere riconquistate da Pd ed alleati, la Campania del viceré De Luca, e la Toscana del piddin-renziano Giani. In Liguria, Marche, Puglia la destra è data in vantaggio. Nel Veneto del governatore Zaia non c’è partita. Il segretario dem Zingaretti ha provato a dire che le forze politiche di governo Pd, M5S, Iv e Leu dovrebbero stare insieme anche sui territori, ma è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che mettere d’accordo i renziani e i pentastellati. Morale della favola, nonostante i clamorosi errori politici di Salvini negli ultimi dodici mesi, l’autunno che arriverà potrebbe un minimo rianimare una Lega che nell’ultimo anno ha perso un terzo dei suoi potenziali elettori. A far le spese di questa situazione è soprattutto il referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari, che con una bruttura giuridica è stato fissato in concomitanza con le regionali.
Cosa c’entri un election day con un referendum costituzionale (che non ha bisogno di quorum), nessun lo sa. Che la riduzione degli spazi della democrazia possa essere un progresso per la società italiana è difficile pensarlo. Tant’è.