Quante volte abbiamo sentito dire, in genere dal padronato e delle forze politiche di destra (e non solo), che “togliere lacci e lacciuoli” libererebbe risorse economiche, a cascata, per tutti? In vista del cosiddetto “decreto semplificazioni”, annunciato dal governo per la prima settimana di luglio, è così partito il tormentone del “modello Genova” - quello della veloce ricostruzione del ponte Morandi – come uovo di Colombo per fare, fare, fare.
In realtà, come osserva la non certo talebana Legambiente, dietro lo slogan di facile presa del “modello Genova” c’è il tentativo di ottenere in qualche modo una sospensione del codice degli appalti, e il commissariamento di tutte le opere pubbliche infrastrutturali che sarebbero “bloccate dalla burocrazia”.
Eppure lo stesso presidente dell’Ance, cioè dei costruttori edili, Gabriele Buia, ha osservato: “Per noi il ‘modello Genova’ non è replicabile, è un modello che ha tutte una serie di peculiarità e che abbiamo sempre contestato. A noi non va bene”. Questo perché, con gli occhi del mondo addosso, il nuovo ponte – costruito sul vecchio tracciato - ha potuto godere di procedure speciali impossibili da riprodurre in condizioni normali.
A riprova, la ministra Paola De Micheli ha ricordato che nel codice degli appalti esistono già strumenti per fare gare veloci. E i sindacati edili hanno ribadito il concetto. Conclusioni: dietro l’alibi del “modello Genova” ci sono, come sempre, quelli che puntano, in spregio alla tutela dell’ambiente, ad avere mani libere sul territorio. Considerato né più né meno come un oggetto di consumo. A tal punto da definire lo stesso codice degli appalti come un fallimento, perché avrebbe portato lo stop dei bandi di gara. Una notizia falsa, l’ennesima.