Sono trascorsi quasi 5 mesi, da quando il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, annunciava in diretta TV che l’Italia intera diventava Zona Rossa. Da allora, ci si è ritrovati davanti un radicale sconvolgimento della consuetudine di ciascuno di noi, che ha coinvolto a 360 gradi tutti gli aspetti della vita quotidiana, compresi quelli inerenti il mondo del lavoro.
Una delle misure adottate dai provvedimenti governativi per tutelare la salute dei lavoratori e nel contempo cercare di ridurre al massimo i contagi, è stato l’estensione dello smart-working. Nello specifico, è lo stesso Decreto Cura Italia, che all’art. 87 introduce una serie di regole temporanee in materia di lavoro agile, trasformandolo nella modalità ordinaria per lo svolgimento della prestazione lavorativa fino al termine dell’emergenza dovuta al Covid-19. Ma cosa è esattamente lo smart-working o lavoro agile? Esso può essere definito come una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato, caratterizzato dall’assenza di vincoli, sia concernenti l’orario di lavoro che lo spazio fisico ad esso dedicato; è sancito da un accordo individuale tra l’azienda e il dipendente; il suo fine principale è quello di aiutare il lavoratore nella conciliazione dei tempi di vita con quelli di lavoro, e nel contempo favorire la crescita della produttività. Sintetizzando, le sue caratteristiche sono la volontarietà e la flessibilità organizzativa.
A distanza di mesi dalla sperimentazione forzata imposta dal Governo, tra gli attori principali dello smart-working (Imprese e Lavoratori) sta maturando sempre più la convinzione che questa modalità di svolgimento della prestazione potrebbe divenire la nuova frontiera del lavoro, trasformandolo così da eccezione alla routine lavorativa, a norma consolidata. Se si dovessero analizzare in maniera dettagliata quelle che sono le opportunità che esso offre, bisognerebbe partire sicuramente dal fatto che il lavorare da casa aiuta senza dubbio a riscoprire quanto, in anni di lavoro dall’ufficio, era stato integralmente rimosso: il trascorrere intere giornate nella tranquillità della propria abitazione, svolgendo la prestazione tra il calore delle mura domestiche, stretti nell’affetto dei propri cari; di rilievo inoltre il risparmio economico individuale legato ai meri costi di pendolarità, ovvero costo carburante, costo di usura del proprio mezzo, costo trasporti pubblici, costo caffè o del pasto fuori; un altro aspetto non trascurabile è quello della possibilità di dedicare ai propri interessi quel lasso di tempo generalmente impiegato per il viaggio di andata e ritorno tra casa e l’ufficio.
Alcuni studi sul lavoro agile, promossi di recente, dimostrano che allo stato attuale dei fatti, ovvero nel bel mezzo di una pandemia mondiale, questa nuova modalità di lavoro è recepita dalla maggioranza degli smart-workers coinvolti come un’utopia divenuta realtà, per altri ancora come l’unico porto sicuro sul quale trovare approdo in un clima di paura e incertezza, facendo crescere inoltre dentro loro stessi quella convinzione mentale di avere a disposizione molto più tempo libero. Ma nel concreto della realtà dei fatti, tutti i soggetti coinvolti dovrebbero ritrovare quella lucidità tale da consentirgli una trasparente valutazione su quello che potrebbe rivelarsi come un rovescio della medaglia. Agli occhi di chi scrive, infatti, lo smart-working non rappresenta quel paradiso idilliaco del quale un sempre maggiore numero di dipendenti dichiara di non volere più fare a meno, ma il rischio di ritrovarsi incatenati in trappole e cavilli normativi dai quali risulterà impossibile trovare una via di fuga. Partendo dal principio assodato che lavorare in smart-working comporta un importante risparmio in termini di costi di pendolarità, è vero anche che lavorare da casa implica un incremento relativo ai costi di riscaldamento, raffreddamento, energia elettrica, ma anche di connessione (attualmente infatti, sono pochissime le aziende che hanno messo a disposizione dei propri dipendenti una connessione efficiente); non di minor rilievo è anche l’impatto negativo che l’estensione dello smart-working comporterebbe a livello macro- economico: non consumare il pranzo fuori, per esempio, significa un introito in meno per un ristoratore e di fatto una conseguente riduzione della forza lavoro necessaria all’interno di quella attività, per non parlare poi dei servizi delle mense aziendali, o piuttosto di quelli delle imprese dei servizi di pulizia che nella migliore delle ipotesi potrebbe trovarsi di fronte ad un dimezzamento delle loro commesse. In sintesi, tutto l’indotto ne subirebbe il contraccolpo. Anche l’aspetto relativo alla comunicazione tra colleghi, la stessa collaborazione, le relazioni dirette, nonché l’importanza del lavorare in team andrebbero via via a scemare, cancellando in maniera graduale quelli che erano i rapporti diretti e/o umani all’interno dei luoghi di lavoro.
Non di secondaria importanza sono le questioni relative alla Salute e alla Sicurezza nei luoghi di lavoro: è necessario infatti che tutte le problematiche relative al tema della Sicurezza debbano essere affrontate in maniera tale da non trascurare tutti i rischi correlati a questa modalità di lavoro, alle attrezzature utilizzate e a i luoghi in cui si opera; di fatto, le imprese italiane saranno in grado di garantire lo svolgimento della prestazione smart in sicurezza? Allo stato corrente dei fatti è pressoché scontata la risposta negativa a una tale domanda, proprio perché per far sì che questo avvenga occorrerebbero grossi investimenti in termini economici, ma, fatta eccezione di alcune mosche bianche, nessuna impresa vorrebbe e/o potrebbe, per esempio, impiegare denaro per assicurare quanto meno una postazione ergonomica che garantisca una corretta postura; o per assicurare un’adeguata formazione/informazione sulle condotte da seguire.
In conclusione, si può affermare che lo smart-working potrebbe divenire una opportunità solo se regolamentato all’interno della Contrattazione Collettiva, attraverso la quale definire in maniera chiara le regole sui tempi, sulle pause, sugli strumenti, sulla salute e sicurezza. Quello che potrebbe essere visto come un cambiamento epocale va in ogni modo affrontato con le Organizzazioni Sindacali, e non lasciato in maniera esclusiva in mano alle aziende, che potrebbero/vorrebbero utilizzarlo solo per un risparmio sui costi.