*Segretario generale della Camera di Lavoro di Lucca
Ringrazio Andrea per l’invito. Ho ascoltato la sua relazione che ho trovato esaustiva, bella e soprattutto assolutamente condivisibile, a dimostrazione che fra di noi vi è sempre assonanza di vedute e comunanza di interessi.
Andrea mi ha chiesto di portare un ricordo di Sandra Cappellini, invito che ho accettato volentieri non soltanto per quello che ella ha rappresentato per me, per l’Area e per la storia di noi tutti, ma anche perché, essendo questo un seminario di delegate e di delegati sindacali, Sandra Cappellini è stata la prova concreta di come abbiamo inteso noi tutti che abbiamo fatto parte della RSU della Sammontana la condivisione di questa che è una vera e propria passione e non un mestiere. Un seminario può essere l’occasione per arricchire il modo di fare il delegato sindacale, un corso può avere la finalità della formazione professionale, tuttavia – come abbiamo sempre detto – la passione o ce l’hai addosso a prescindere da ogni cosa o non ce l’hai, nessun corso o seminario può insegnarti la capacità di indignarsi di fronte alle ingiustizie che tutti i giorni si perpetrano nei luoghi di lavoro.
Purtroppo nella nostra organizzazione troppe volte nel passato, anche recente, si sono privilegiati percorsi altri trascurando quello che di fatto è il primo ingrediente per fare il delegato sindacale: la passione, la capacità di ribellarsi alle ingiustizie.
Rivendicando la mia provenienza operaia, la mia amicizia con Sandra è iniziata fin da quando ella iniziò a essere membro della RSU della Sammontana.
Fin da giovanissima Sandra iniziò a lavorare alla Sammontana per poi diventare membro della RSU, che è sempre stata piuttosto “ribelle”, sempre in prima fila per quanto riguardava manifestazioni, cortei, scioperi, presidi. Quando negli anni Novanta furono prese determinate scelte, la CGIL non era quella di oggi, era ben diversa: molto più riformista, molto più conservatrice; a parer mio operava in maniera molto sbagliata. La CGIL ai quei tempi era subalterna all’allora PDS, era un sindacato che vedeva le privatizzazioni dei servizi pubblici come un’opportunità, come una scelta possibile. Erano i tempi in cui fu emanata la prima riforma delle pensioni (cosiddetta riforma Dini) e in quella fabbrica ho avuto la fortuna di lavorare insieme a tanti compagne e compagni che non accettavano tutto ciò. Quasi tutti erano in disaccordo e dalla riforma Dini in poi abbiamo iniziato da subito con scioperi, manifestazioni, occupazioni in tutta Italia (lo testimonia la presenza dello striscione della Sammontana in quelle occasioni). Non era raro che sulle prime pagine dei giornali dell’epoca, e soprattutto di “Liberazione”, fosse ripresa la foto dello striscione della Sammontana che campeggiava dappertutto. In altre parole, eravamo famosi sia in fabbrica sia fuori di essa: in fabbrica era un litigio, una battaglia continua con il padrone. Era un confronto continuo, non erano lotte fine a se stesse: infatti grazie alle nostre manifestazioni abbiamo anche ottenuto risultati positivi come ad esempio una contrattualizzazione che prevedeva l’aumento per tutti i dipendenti (dai direttori all’ultimo magazziniere) in occasione dei rinnovi contrattuali.
Le nostre battaglie hanno riscosso anche un consenso notevole: ricordo nel 2002 i quasi venti pullman che si resero necessari per portare i dipendenti della Sammontana alla manifestazione a Roma in occasione dello sciopero in difesa dell’art. 18.
Anni prima, Sandra Cappellini era entrata nella Sammontana insieme ad altre ragazze, tutte belle, sempre in prima fila alle manifestazioni. Appena assunte in fabbrica, chiesero subito di essere tesserate nella CGIL, cosa all’epoca rara. Era un gruppo di ragazze quasi tutte comuniste, per noi una manna dal cielo. Giravano per l’Italia insieme a noi, con senso di lotta ma anche con tanta passione e divertimento (al ritorno delle manifestazioni si faceva festa).
Tanti lavoratori non sono mai voluti entrare nel Consiglio di fabbrica, organismo dove il confronto è d’obbligo; certo, riconosco che oggi con la Jobs Act è ancora più difficile fare il delegato, tuttavia anche nei primi anni Duemila non era cosa facile.
Nel 2001 si svolsero le elezioni del Consiglio di fabbrica della Sammontana e Sandra chiese di farne parte: una scelta importante soprattutto per il fatto che da tanti anni non vi erano donne, e infatti alla prima seduta le fu regalato un grande mazzo di rose con un biglietto con su scritto “Benvenuta nella RSU della Sammontana”.
Sandra avrebbe potuto continuare a fare la sua vita di sola operaia con suoi interessi. Era una bella donna, sapeva farsi amare, e invece decise di impegnarsi nel Consiglio di fabbrica. Da allora è stato un susseguirsi di soddisfazioni.
Una volta entrata nel Consiglio, iniziò a fare discussioni, contrattazioni nell’azienda e provò quello che penso sia la base della svolta di un vero delegato: da noi in Toscana è in voga il detto che si diventa un vero delegato “quando si è provato il morso di un lupo”, quando davanti alle mosse del padrone (mosse che possono essere tante: può trattarsi di una minaccia ma anche di un tentativo di portarti dalla sua parte) tu delegato hai il potere contrattuale e dall’altra parte provano a venire a capo. A chi ha fatto il delegato o ha fatto parte di una RSU può succedere di essere provocato: “Sei un quadro importante… Potresti fare carriera in azienda… Mettiamoci d’accordo… Fai attenzione che non ti licenzino…” e quello è il momento della prova del “se sei dalla parte giusta o dalla parte sbagliata”. E fin da subito si capì che Sandra era una persona a cui non mancava il coraggio, non aveva paura, non si faceva comprare, stava sempre in prima linea, battagliava, si confrontava, con autorevolezza e autoritarismo anche di fronte alla controparte.
Ai tempi in cui Sandra era stata assunta da poco stavo bene nella fabbrica, svolgevo la mansione di “cellista” (ovvero portavo i gelati nelle celle), piacevo ai miei compagni anche se criticavano il mio modo di fare autoritario. Poi Andrea, dietro pressioni, mi convinse a uscire dalla fabbrica [per svolgere un ruolo più ampio dentro la battaglia nella Cgil].
Nel frattempo Sandra si era formata, e prese le redini della RSU della Sammontana. Anch’essa aveva un carattere autoritario come il mio. Ora, si badi bene: già per le controparti il solo fatto di avere a che fare con un RSU o con un delegato battagliero è un problema, se poi si tratta di una donna è anche peggio perché è molto difficile tenere testa a una donna. Nel caso concreto, al padrone della Sammontana dava fastidio in maniera esagerata il fatto che a tenergli testa fosse una donna, la riteneva una rompiscatole e lei, di contro, rimaneva tranquilla, non tremava mai.
Da lì è stato un susseguirsi di successi.
È uscita dalla Sammontana ed è stata eletta segretaria della Flai provinciale, poi segretaria generale della Flai di Firenze, Segretaria della CGIL Toscana e in fine membro del Direttivo nazionale. Nonostante tutte queste affermazioni, ha sempre conservato quel biglietto di benvenuta donatele insieme al mazzo di rose. Noi eravamo la base sindacale, eravamo il coordinamento delle RSU dei lavoratori perché una cosa che contestavamo alla CGIL di allora era che ci fosse un ruolo maggiore per i delegati di posto di lavoro, sia negli organismi, sia nella contrattazione. E Sandra da questo punto di vista aveva davvero un senso di appartenenza per il suo posto di lavoro, per la sua fabbrica nella quale aveva lavorato tanti e tanti anni, che credo sia uno degli ingredienti fondamentali. Una volta mi fu chiesto se pensavo che per fare questo mestiere sia necessario avere lavorato. Risposi: “Non so se sia necessario, però posso assicurare che aiuta parecchio”. Come il sottoscritto, anche Sandra non voleva uscire dalla fabbrica perché, al pari mio, l’attaccamento al suo posto di lavoro era tanto, tuttavia alla fine decise di uscire e il suo percorso che vi ho descritto prima l’ha fatto sempre con la stessa passione e determinatezza, senza mai venir meno ai suoi princìpi e ai suoi ideali.
Succede sovente che, finché si è in produzione, si è agguerriti, poi quando si comincia a “frequentare le scrivanie” questa foga va scemando. E non è una questione di età (quando si è giovani si è maggiormente ribelli) poiché tanti compagni, una volta trovata una collocazione e nonostante l’età più o meno avanzata, hanno smorzato parecchio il loro spirito battagliero. Ebbene, la compagna Sandra Cappellini non era così, anzi: sempre determinata e addirittura rappresentativa del luogo di lavoro da dove proveniva.
Attualmente sono Segretario generale a Lucca, però ancora seguo la mia azienda.
Nel frattempo furono assunti nella Sammontana anche operai seguaci del Movimento 5 Stelle, alcuni dei quali, inevitabilmente, divennero delegati sindacali; per noi comunisti la vita sindacale diventava sempre più difficile e, d’altro canto, un Paese non vive in un compartimento stagno. Ne conseguiva che quando tornavamo in fabbrica in occasione di assemblee, soffrivamo quando vedevamo qualche delegato con un qualunquismo e con un populismo: di qui battaglie. Ricordo lo sciopero contro la riforma Fornero: a quel tempo ero Segretario provinciale dell’Empolese Valdelsa, Sandra era Segretaria della Flai e in quell’occasione si discuteva fino a notte fonda.
La fabbrica della Sammontana è sempre stata una fabbrica all’avanguardia, nonostante le remore da parte di qualcuno. È vero che la CGIL ha sbagliato quando ha promosso solo tre ore di sciopero contro la riforma Fornero, tuttavia è altrettanto vero che non si è svolta alcuna sommossa popolare.
Sandra invece era una passionale, una schietta, doti che ha sempre mantenuto anche quando è stata Segretaria della CGIL Toscana.
All’epoca avevamo un senso di appartenenza e la convinzione che il pluralismo sia una grande ricchezza. Grazie a tutto ciò sono state fatte scelte giuste.
Non ci si può nascondere che la CGIL attuale non è più di Sinistra soltanto perché il Segretario generale è Maurizio Landini: è più di Sinistra perché c’è un documento congressuale che ai miei tempi sarebbe stato considerato un documento alternativo. Dunque, da questo punto di vista c’è stata una evoluzione nella CGIL. Il documento congressuale che abbiamo votato all’ultimo congresso - concordo al 100%- sono scritte cose che noi sostenevamo in maniera alternativa, anche se un mio compagno ha giustamente commentato: “Non c’è niente di peggio di aver avuto ragione”. Siamo diventati un po’ la coscienza che a qualche nostro compagno demorde un pochino perché le cose che dicevamo noi a voce oggi le scrivono. Mi riferisco in particolare al “sì” al ruolo pubblico, al “no” alle privatizzazioni, al fatto che le guerre non vanno bene ma la contingenza è oggi molto diversa da quella di allora: tutte scelte che portammo avanti con coraggio e che ci contraddistinguevano come Area e che abbiamo fatto bene a sostenere. E oggi che finalmente siamo arrivati a un cambiamento dell’organizzazione, siamo tutti convinti che la prima riforma è stata l’inizio di una tragedia, e così infatti fu, a iniziare dal “Pacchetto Treu” alla riforma Fornero. Tutte queste idee le portammo avanti fin dall’inizio, eppure oggi si scrivono documenti e bisogna recuperare perché nel frattempo si è perso tanto.
Nella nostra Area abbiamo fatto queste battaglie e ci trovavamo benissimo. Poi, durante al penultimo congresso facemmo una diversa con Sandra: ci fu la fine dell’esperienza di quell’Area.
D’accordo con Sandra, con Maurizio, noi compagni toscani facemmo una scelta diversa: a fronte della lungimiranza di dire cose che poi si sono purtroppo rivelate vere e a fronte dell’avere avuto ragione nei confronti di un tentativo della CGIL di riposizionarsi, noi ci dividevamo. Non fu una scelta facile, anzi, ci rimanemmo malissimo.
Come Toscana ci tirammo fuori. Si badi: non abbiamo rinunciato del tutto perché siamo andati avanti ancora e per fortuna poi ci siamo anche ritrovati. Non condividevamo la scelta di Nicolosi di cambiare obiettivo rispetto alla fine, ma non ci convinceva neanche la scelta di spaccare quest’Area perché avrebbe comportato rimettere tutto in discussione. Insomma, noi credevamo tanto nel nostro agire e purtroppo tutto ciò fece male a tutti, a iniziare da Sandra.
Alla fine di quel congresso, purtuttavia, Sandra Cappellini entrò come membro del Direttivo nazionale e dalla Toscana partimmo con un’esperienza.
Siccome la CGIL si stava cominciando a ricredere e a riaprire, si aprivano anche nuovi spazi, pur con le difficoltà del caso: cercavamo di aprirci a nuovi pezzi della cosiddetta “vecchia” Maggioranza per intraprendere un discorso diverso. Quel navigare in mare aperto si trasformò un’idea di documento che Sandra, Maurizio ed io iniziammo a scrivere perché volevamo rilanciare il nostro percorso in un’ottica diversa. Ripeto: se ripenso alla CGIL attuale, è giustissimo l’affermazione di Andrea che i pluralismi sono la ricchezza e l’essenza vitali per questa organizzazione, però bisogna trovare una formula per ridefinirsi.
Oggi si può e si deve ambire di più, e questo è possibile se trovi i compagni validi, giusti, con i quali lavori bene.
Per quanto ci riguarda, la nostra esperienza è stata positiva: Sandra partì e ora in Toscana ci siamo addirittura rafforzati. E anche oggi che sono Segretario della Camera di Lavoro di Lucca rivendico le mie idee comuniste, e tutte le iniziative recano lo stampo comunista, a iniziare da quelle in favore dei Curdi a quella favorevole alle mobilitazioni delle studentesse e degli studenti di Fridays For Future.
Sono tante le lotte che possiamo portare avanti, tutto ciò in un’ottica diversa e senza rimanere chiusa dentro uno steccato.
La Sinistra sindacale siamo noi.
Tornando all’ultimo congresso cui partecipò Sandra (quello di Rimini) prima della sua scomparsa, Sandra, Maurizio, Andrea ed io tornammo a Empoli prima della fine di quel congresso, pronti a riorganizzarci e a ripartire con l’accordo che avrei guidato io (premetto che sia Maurizio sia Andrea non hanno la patente). Prima di metterci in moto per Rimini, rimanemmo a cena Rimini, ma appena montato in macchina, sono stato colto dal sonno, pertanto chi si mise alla guida fu Sandra.
Purtroppo qualche giorno dopo successe la disgrazia e Sandra ci ha lasciato.
Sono convinto che l’insegnamento (o esempio, se così si preferisce) di Sandra Cappellini sia quello di una compagna di base, fortemente attaccata al proprio ruolo, orgogliosa di essere stata operaia, orgogliosa di avere portato avanti gli interessi dei lavoratori, assolutamente contraria a rinnegare qualsiasi scelta abbia fatto sul piano politico.
La passione, l’appartenenza, la coscienza di classe non gliela aveva insegnata nessuno: l’aveva addosso.
Sono convinto che se voi oggi siete qui è perché qualcosa di Sandra vi è rimasta, altrimenti forse avreste fatto un’altra scelta.
Se l’insegnamento è questo, se ce l’hai addosso lo porti avanti e alla fine ti ritroverai ad avere vissuto una bella esperienza della quale essere orgoglioso.
Non posso sapere se riusciremo a cambiare le cose, sicuramente però, per onestà fra di noi, se le cose succederanno a prescindere e comunque, allora avremo sbagliato tutti. Al contrario ritengo che le cose succedono perché anche noi svolgiamo un ruolo. Se la CGIL di oggi, con tutte le sue luce ma anche con tutte le sue ombre, non è quella di vent’anni fa, credo che un po’ di merito vada alle compagne come Sandra e a tutti noi.