Il treno dei bambini “Dove si mangia in uno, si mangia in due” - di Fulvio Farnesi

Sono passati più di 60 anni da quell’inverno del 1945. L’Italia aveva sofferto bombardamenti da Nord a Sud, la miseria, il lascito terribile delle violenze della guerra. Un paese stremato ed avvilito dal suo trascorso fascista, ma con voglia grande di riscatto, di rinascita civile e morale frutto della Resistenza e dei partiti politici che in essa si erano riconosciuti. In questo contesto nasce una delle più belle pagine di solidarietà che il nostro paese ha conosciuto.

Con l’organizzazione del Partito Comunista Italiano e dell’UDI (Unione Donne Italiane), si realizzò una rete che consentì a migliaia di bambini abbandonati a se stessi, in particolare del nostro meridione, di essere ospitati da altrettante famiglie contadine emiliane. Famiglie contadine, non ricche, ma in grado di garantire cibo (“dove mangia uno si mangia in due”, si dice in campagna) calore, istruzione, affetto e valori.

In questo contesto si colloca il romanzo “Il treno dei bambini”, che tiene stretta la vicenda umana di Amerigo, l’io narrante del libro, a questa cornice; mentre le voci, i sentimenti, la trama e i personaggi sono frutto della fantasia della autrice, Viola Ardone, che riesce ad entrare nella dimensione dei bambini coinvolti in questa esperienza. Lo fa con le loro paure, “i comunisti mangiano i bambini”, sussurra qualcuno più piccolo, lo fa con il gesto del lancio dei cappotti nuovi, appena ricevuti prima di partire con il treno e immediatamente gettati dai finestrini in modo che i fratellini rimasti a Napoli potessero coprirsi in inverno, con le loro marachelle utili a sopravvivere.

Questo equilibrio tra narrazione e storia rende il libro unico, da leggere dall’adolescenza in poi. Il fatto storico in sé è stato per molto tempo dimenticato, ovvero meno conosciuto di altri momenti del nostro dopoguerra, eppure contiene in sé il meglio di quanto la società possa offrire a chi ha di meno: la solidarietà attiva, quella che si fa carico delle persone in carne ed ossa, che apre le porte di casa a chi sta peggio.
Amerigo è sveglio, a Napoli vive con la madre e raccoglie pezze, che sua madre rivende per procurarsi qualcosa da vivere.

Il padre è assente, sparito forse in America a faticare. La madre per suo figlio vuole altro e decide di offrirgli la possibilità di costruirsi una vita migliore, non facendogli più raccogliere pezze ma andando a scuola, crescendo, avendo cibo, salute e futuro.
Scelta amara, che forse Amerigo non perdonerà, anche se ne comprenderà il significato e, pur nella sofferenza per la perdita delle sue radici che non ritroverà nemmeno nel viaggio di ritorno dopo la perdita della mamma, riuscirà a scoprire una nuova serenità. Una decisione, quella della madre, che gli cambierà la vita. L’accoglienza e l’affetto della famiglia che lo ospiterà, nonostante la paura iniziale sulle cattiverie dei comunisti, saranno la sua salvezza.

Troverà spazio per la sua passione fino a farla diventare una professione; inizierà un percorso, e qui il libro è magistrale, che permetterà anche al suo vocabolario di cambiare; la sua sintassi diventerà più articolata, il distacco dalle origini gradualmente avverrà.
Distacco non soltanto come risposta ai bisogni materiali di sopravvivenza di Amerigo e degli altri bambini come lui, ma momento di crescita e di assunzione di responsabilità della propria vita e dei propri interessi.

Leggo diversi libri nel corso dell’anno, alcuni mi rimangono addosso per molto tempo per la loro originalità e per le belle sensazioni che lasciano: “Il treno dei bambini” è uno di questi.


Viola Ardone
“Il treno dei bambini”
Einaudi, 2019

 


 

Quando i comunisti mangiavano i bambini…

Era l’inverno del 1945. A Milano Teresa Noce, battagliera dirigente comunista e partigiana, intuisce che solo un gesto di solidarietà può risolvere almeno temporaneamente la drammatica situazione di bisogno dei bambini di un paese affamato e distrutto. Con ciò che rimane dei Gruppi di difesa della donna, poi confluiti nella nascente Udi – Unione donne italiane, la Noce chiede ai compagni di Reggio Emilia, realtà prevalentemente agricola e quindi con maggiori risorse alimentari rispetto a Milano, di ospitare in quei mesi alcuni bambini. Inizia così una storia che, attraverso la rete dell’UDI e del PCI, nel 1947 consentirà a tanti bambini del Sud di essere ospitati nel centronord. Così, dal 1945 al 1952, anni duri per tutto il Paese, furono ospitati nel centro-nord ben 70.000 bambini.

Su queste vicende sono stati scritti due libri, il primo di carattere divulgativo nel 1980 (“Cari bambini, vi aspettiamo con gioia”... di Angiola Minella, Nadia Spano e Ferdinando Terranova); il secondo è invece un saggio storico (“I treni della felicità: Storie di bambini in viaggio tra due Italie”, di Gianni Rinaldi del 2009).

Il romanzo di Viola Ardone, che qui viene recensito, restituisce alla cronaca il calore dell’umanità.