La mano di dio e un cuore grande - di Nino Frosini

Diego Armando Maradona era un grande appassionato di boxe. Ed è facile rintracciare sue foto con pugili e guantoni. Addirittura calcò il ring a scopo benefico per un’esibizione con Santos Laciar (campione mondiale dei mosca e supermosca: “una piccola tigre di grande ferocia”). Del resto da dove lui veniva, Villa Fiorito, una delle tante “villas miseria” accatastate intorno a Buenos Aires, la boxe avrebbe potuto essere una via come un’altra per provare ad allontanarsi perlomeno un passo dalla miseria. Ma non andò così e quel ragazzino dalla “cabecita negra”, nato povero tra i poveri, che aveva piedi piccolissimi e più sensibili di una mano, si dette al calcio. E il calcio, insieme a tutti i suoi appassionati, ricevette in consegna uno dei più grandi calciatori di ogni epoca. Funambolico ma ordinatissimo nel dettare i tempi di gioco. Geniale nelle giocate, mai fatte come solo regalo per gli occhi, ma sempre funzionali allo sviluppo di un’azione, di un assist. Di un gol.

In ogni caso il suo gioco risultava sempre fuori dagli schemi. Come del resto, lui e la sua vita fuori dagli schemi son sempre stati e così le sue battute spesso irriverenti mai banali.
Indimenticabile quando commentando, in epoca decisamente “ante-var”, il suo famoso gol di mano all’Inghilterra, disse che a buttar dentro la palla era stata la “mano de Dios”. D’altra parte, proprio all’Inghilterra segnò anche quello che resta uno dei gol più spettacolari nella storia del calcio.

Di lui scrissero tanti grandi firme del giornalismo sportivo e non solo, ma ancora oggi sublime resta lo “schizzo” fattone da Gianni Brera (il Maradona della penna sportiva e non ...): “(…) la natura lo volle scorfano e lo scorfanò ma Eupalla (nell’olimpo breriano era la dea del calcio) lo baciò, anzi mille volte lo baciò e cosi lo scorfano dalle anche troppo larghe, le gambe troppo tozze e i piedi piccinini divenne uno Scorfano Divino. Il più grande “prestipedatore” mai visto all’opera. In fatto di calcio Pelé, Di Stefano e persino “Croiffe” (così Brera, che morì senza veder Messi, storpiava il nome del magnifico olandese, nda) son stati meglio di lui ma il pallone, senza il quale calcio non v’è, ha sempre preferito lui a tutti gli altri (…)”.

“Dieguito” era anche un leader straordinario nei tempi di gioco e fuori da quelli. Imparagonabile per tale grandezza a Messi, sempre pallido e “gnesci”, incapace di ringhiare quando le cose non si mettono per il verso giusto o a Ronaldo il “fenomeno” brasiliano (non il portoghese) fragile come un guscio d’uovo. Ciro Ferrara ricordò di lui qualche anno fa quando disse “noi stasera andiamo a mangiare la pizza e a far casino, “Otavio” (Ottavio Bianchi allenatore del Napoli scudettato, nda) se arangerà, ma poi domani se vince. Se vince, se no ve inc..o tutti, claro?”.

Certo, lo scompiglio e il disordine che in campo provocava negli avversari, molto spesso, si è impadronito della sua vita. Frequentazioni episodiche ma equivoche con camorristi nel periodo “napoletano”, la droga, i figli più o meno disconosciuti, le tasse non pagate... Insomma “el Diego” non era un soggetto facile da digerire nel regno dell’ipocrisia calcistica e nel diffuso senso comune che intorno ad essa sgorgava.

Ma fu sempre un uomo fiero. Fiero delle sue scelte difficili costantemente dalla parte dei poveri. Fino al punto di polemizzare con il papa della CIA (Karol Wojtyla). Con le ricchezze della chiesa esibite e mai messe a disposizione degli ultimi “ma che levino (dalla basilica di San Pietro, nda) da lassù a far niente quei travi d’oro e li diano a chi non ha da mangiare”.

“Fidel è il più grande di sempre, altro che Pelé ..”. “Chávez meglio di Bolivar, ha capito cosa si deve fare per i poveri”. “Se Maduro lo vorrà siamo pronti a prendere il fucile per difendere il Venezuela”. “ Il Che, lui sì che è stato un grande argentino, mi fa piacere averlo qui (tatuato sul braccio) e sentirlo con me. Guardarlo quando ne ho bisogno”.

La ricchezza lo fece diventare un ex povero ma non un povero arricchito, né tantomeno un danaroso parvenu in cerca di borghese legittimazione o di salotti felpati.
E fra le moltitudini che lo hanno pianto, la “sua” gente, cioè i meno abbienti, sono stati la schiacciante e sincera maggioranza. Purtroppo spesso esibendo idolatria, volgarità e ignoranza, ma personalmente detestiamo molto di più quei farisei che invece pelosamente li condiscendono, consci della loro agiata diversità, e fingono persino momentanea simpatia per quei comportamenti del volgo dai quali trasuda la peggior sottocultura funzionale a ricchi e potenti. Del resto, sarebbe davvero stravagante pretendere, visti i grandi numeri con cui socialmente si esprime il disagio economico, non ci fosse poi anche quello culturale. D’altronde se quella piccola parte di popolo che ha più ricchezza ne avesse meno, quella più grande, molto più grande, potrebbe abbandonare la miseria per vivere andando incontro al sapere.

Però, dribblare la potenza della ricchezza per poterla equamente ripartire è una giocata così difficile, specialmente oggi, da sembrare impossibile. Ci vorrebbe Maradona.