Monti bis - di Andrea Montagni

Mentre scriviamo non sappiamo l’esito della crisi. Alcune considerazioni possiamo farle.

Ignorando palesemente l’articolo 94 della Costituzione si sono provocate le dimissioni di un governo che aveva ricevuto la fiducia delle Camere; poi il presidente della Repubblica, dopo il fallimento dell’esplorazione di Fico, ha invitato le Camere a dare la fiducia ad un governo “non politico”, pure prospettando - divenuto anch’egli esperto epidemiologo - una crisi sanitaria più grave, in caso di campagna elettorale e di ricorso alle urne, sebbene nel 2020, in piena ondata pandemica, si sia votato per le regionali in Toscana, Marche, Campania, Puglia, Veneto, Liguria e Valle d’Aosta e in 1.172 comuni.

Il governo “che non debba identificarsi con alcuna formula politica” auspicato da Mattarella ricorda a tutti noi l’esperienza ben nota del Governo Monti. Per tutti i lavoratori il Governo Monti è stato il Governo della controriforma Fornero (che la deputata Meloni votò, tra l’altro).

Avevamo scritto nello scorso numero di “reds”, facili profeti, che nella situazione data un nuovo governo sarebbe stato in ogni caso un governo spostato a destra.

Ancora una volta, alla crisi politica del Paese, una classe dirigente che si identifica negli interessi dei capitalisti e della Finanza vuole rispondere con una politica che ignora – se non come pretesto – i drammi di milioni di cittadini poveri (5 milioni) o impoveriti (8 milioni), la paura per il futuro di centinaia di migliaia di lavoratori che rischiano il posto di lavoro, il dramma quotidiano di chi si arrabatta tra lavoro nero e precarietà, mentre incombe ancora una epidemia che non si riesce a tenere sotto controllo e a sconfiggere. Come con Monti si individua in un “tecnico” del sistema finanziario il garante non dei diritti, ma della stabilità. Invece di ricostruire un sistema pensionistico solidale e che guardi ai giovani e ai discontinui, si abolirà quota 100; invece di riformare ed estendere il reddito di cittadinanza e costruire un sistema universale di ammortizzatori sociali, si cercherà di ridurne la portata. Invece di una patrimoniale si vorranno tagliare indistintamente tasse e contributi tornando alla logica di meno Stato e più mercato. Vedremo alla prova dei fatti se questa valutazione sarà troppo pessimistica o invece lucidamente realista.

Purtroppo, le sorti del governo non sono nelle mani del movimento operaio. Non ci sono in Parlamento forze politiche che mettano al centro della loro politica gli interessi materiali, il punto di vista, le aspirazioni sociali di quanti vivono del proprio lavoro. E’ il prodotto grave della crisi di quella che fu la sinistra italiana, dei partiti di massa e dell’associazionismo popolare nell’Italia del secondo dopoguerra: una articolazione della società civile che ha accompagnato, non solo nel nostro Paese, la vita politica e sociale di tutto il XX secolo. Il sindacato confederale, con il suo radicamento sociale, il peso organizzativo, il suo apparato di migliaia di funzionari nelle strutture sindacali e nei servizi, la rete di decine di migliaia di delegati è tutto ciò che resta di vivo e operante di quella storia.
L’unico modo di stare dentro la crisi della politica, per la CGIL, è di tenersi forte la propria autonomia e tornare protagonista sul terreno dei contenuti, mettendo al primo posto la salute, i diritti e il lavoro.