Ma chi l’ha detto che San Giorgio uccise il drago? In tanti si stanno impegnando a riscrivere perfino la storia sacra, dopo che Mario Draghi è entrato a palazzo Chigi salutato da ovazioni che non si ricordano dai tempi di Caio Giulio Cesare. Lui è il Migliore, altro che Palmiro Togliatti, messo in archivio come tutta la storia di un partito, quello comunista, che in Italia si fa finta non sia mai esistito. Da Re Mida Draghi ci si aspettava un governo a sua immagine e somiglianza, è andata a finire che l’ex presidente della Banca centrale europea ha messo otto suoi uomini in alcuni dicasteri chiave, per poi lasciare mano libera ai tanti partiti che lo sostengono.
E questi, chi più chi meno, ne hanno approfittato. La Lega, tornata responsabile forza di governo, dopo il rehab post Papeete del suo leader Matteo Salvini, ha piazzato il suo gruppo di sottosegretari in posti che contano, quanto meno per visibilità. Se infatti il “moderato” Giancarlo Giorgetti era l’unico esponente del Carroccio che poteva essere scelto per un ruolo chiave come quello di ministro dello sviluppo economico, i sottosegretari incarnano invece la classica strategia politica del Capitano leghista. Quella del prima gli italiani, e del celodurismo bossiano geneticamente modificato in un sovranismo populista di marca trumpiana. Spulciando la lista dei trentatré sottosegretari e sei viceministri, si scopre poi che l’ex capo politico del Movimento cinque stelle non è poi tanto ex: fra gli undici pentastellati sono molti quelli che fanno riferimento al riconfermato ministro degli Esteri.
Mentre nel Pd, diviso al solito tra correnti e cacicchi locali, le sei scelte di Zingaretti e Orlando scontentano, come da copione, le anime e le sensibilità piddine rimaste fuori.
A ben vedere, sul piano non solo simbolico, il vincitore dell’estenuante partita delle nomine ministeriali è Silvio Berlusconi. Il Cavaliere si assicura il sottosegretario con delega all’editoria (Giuseppe Moles), come dire che gli interessi del Biscione sono messi in banca, e l’ipergarantista Francesco Paolo Sisto alla Giustizia. Blocco della prescrizione? Vade retro Satana. I pentastellati alzano alti lai, gli italiani - dopo quasi quarant’anni di marchiano conflitto d’interessi - se ne faranno l’ennesima ragione.
Ultima ma non per ultima, l’Italia viva di Matteo Renzi, altro vincitore della complessa partita politica che ha portato all’ascesa di Mario Draghi a palazzo Chigi. Con l’abituale cambio di registro caro al disinvolto senatore di Scandicci, gli scatoloni che avevano accompagnato l’uscita di scena di Bonetti, Bellanova e Scalfarotto rientrano dalle finestre dei palazzi del potere. Detto della competente Maria Cecilia Guerra confermata all’economia con il timbro di Leu, e ringraziato ancora una volta l’ottantacinquenne Massimiliano Cencelli, iscritto da De Gasperi in persona a una Dc che resta per lui l’unico punto di riferimento di una lunga e serena esistenza, c’è una sola deroga alla rigorosa spartizione dei posti a tavola operata dalle forze politiche. È quella del primo della classe Franco Gabrielli, che assume la delega ai servizi segreti, come già ai tempi del secondo governo Prodi.
Nota finale: inutile prendersela con i sottosegretari, sono espressione delle forze politiche presenti in Parlamento dopo regolari elezioni, con le sole eccezioni di Fratelli d’Italia e Sinistra italiana.
Toccherà al Migliore far funzionare una macchina con qualche problema di convergenza delle ruote. Tende a destra.