Ressa a centrocampo, in barba alle regole anti pandemia che vietano gli assembramenti. Aggiungi un posto a tavola che c’è un amico in più, se sposti un po’ la seggiola stai comodo anche tu, gli amici a questo servono a stare in compagnia, sorridi al nuovo ospite non farlo andare via. La bella voce di Johnny Dorelli accompagna le ultime evoluzioni della politica italiana. Il trentennio berlusconiano tramonta, lentamente come il sole di giugno, che abbaglia chiunque gli rivolga lo sguardo.
Con la mascherina d’ordinanza ma senza occhiali scuri, Matteo Renzi è pronto da tempo a raccogliere l’eredità del partito fondato da Silvio Berlusconi all’alba degli anni novanta. Del resto il Cavaliere lo aveva invitato ad Arcore non appena l’ambizioso ragazzo di Rignano sull’Arno era stato eletto sindaco di Firenze, quasi a certificare una comunione politica di amorosi sensi.
Dieci anni dopo, il leader di Italia Viva si sente l’erede in pectore dell’ormai anziano e malandato re di Arcore. Il progressivo sfaldamento di Forza Italia, con i sommovimenti interni che hanno portato alla nascita di Coraggio Italia ad opera del dinamico duo Toti-Brugnaro, è ormai nei fatti. E Renzi è lì, con il suo partito personale, saldamente al centro dello scacchiere politico - e soprattutto del governo Draghi - pronto a raccogliere il bacino di voti dei ‘moderati, europeisti, liberali’ (parole di Berlusconi) che mal sopportano il populismo sovranista della Lega di Matteo Salvini e dei Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni.
‘Credete a me’, sembra dire Renzi rivolgendosi a quel paese profondo che ha portato più volte a palazzo Chigi il Cavaliere, nel solco di quel conservatorismo di fondo che connota da sempre la società italiana. Un gioco che sia Salvini che Meloni cercano di smontare, il primo continuando a battere sul tasto dell’unità del centrodestra, la seconda vagheggiando un ruolo alla Marine Le Pen, provando a dare precise coordinate a una destra italiana fin qui sempre schiacciata nelle sue alleanze con Forza Italia e Lega. C’era una volta la Casa delle libertà, ora quel palazzo è fatiscente, lasciato a se stesso, ben difficilmente recuperabile nonostante gli incentivi statali per le ristrutturazioni edilizie. Perché, diciamolo, nel bene e soprattutto nel male, Silvio Berlusconi ha incarnato e segnato un’intera epoca. Tanto da lasciare in eredità un concetto sociologico più che politico, quel berlusconismo da cui sarà ben difficile affrancarsi. A riprova, basta vedere come dall’alba al tramonto è stato silurato il secondo esecutivo di Giuseppe Conte per dar corpo al cosiddetto ‘governo dei migliori’ di Mario Draghi, sorretto da una coalizione larghissima e quantomai eterogenea, fra gli urrà di Confindustria e degli altri poteri forti del paese.
La corsa al centro è un grande classico della politica italiana, ben lo sa Enrico Letta, nuovo segretario del Pd, centrista fin dalla culla, che ha marcato il territorio collocando i democratici ‘alla sinistra del centro’. Ben lo sanno Giuseppe Conte e Luigi Di Maio, impegnati in una quantomai ardita virata per portare il magmatico movimento Cinque stelle a diventare un rassicurante partito di governo. Cercano tutti un centro di gravità permanente, secondo l’illuminante definizione di un artista geniale, l’indimenticabile Franco Battiato.