Le rivoluzioni industriali hanno segnato l’inizio della trasformazione del sistema produttivo, economico e sociale.
Noi lavoratori della CLS (CGT Logistica e Sistemi) siamo una realtà nazionale di vendita e riparazione carrelli elevatori nel settore della logistica e merci portuali. Tutti i giorni come lavoratori, e come delegati sindacali, riscontriamo difficoltà dovute sostanzialmente a due fattori: la transizione e lo sviluppo del nostro sistema industriale di riferimento e la continua richiesta di abbattimento del costo del lavoro. Entrambi questi fattori sono centrali nell’analisi della dinamica del nostro mercato, e su questi l’azienda imposta ogni possibile discussione.
Lo sviluppo tecnologico delle macchine operatrici in questi anni è stato molto rapido: oggi abbiamo macchine sempre più robotizzate e tecnologicamente avanzate. Il che può essere considerato anche come aspetto positivo, in quanto la tecnologia aiuta il progresso. Il risvolto negativo è però dato dalla velocità di tale cambiamento: a causa della rapidità del progresso tecnologico delle macchine, i lavoratori fanno molta fatica ad aggiornarsi. Questo fenomeno preoccupa soprattutto quando le aziende non erogano sistematicamente la formazione, accelerando di fatto l’obsolescenza delle conoscenze professionali dei tecnici, con conseguente pericolo per i posti di lavoro. Spesso tutto ciò diventa un problema sociale in quanto molti di questi lavoratori non hanno maturato i requisiti pensionistici, rimanendo di conseguenza disoccupati e spesso preda del lavoro nero: la sola soluzione per persone anziane anagraficamente pur se ancora in età di lavoro.
Come RSU CLS, abbiamo molte volte rivendicato e ottenuto spazi per la formazione, ma il pensiero è rivolto anche a tanti nostri colleghi che lavorano per realtà aziendali diverse (e concorrenziali) dalla nostra: aziende fatiscenti, dove molto spesso non vengono distribuiti neanche i minimi dispositivi di sicurezza, figuriamoci la formazione. Nel nostro settore lo sviluppo tecnologico espone quindi al rischio di espulsione molti lavoratori, determinando di fatto una ingiustizia sociale, tradendo il principio costituzionale che il lavoro è un diritto e la valorizzazione della forza lavoro una risorsa. Se questo progresso non viene accompagnato, la selezione dei lavoratori sarà spietata e chi non sarà più funzionale alla produzione ne subirà le conseguenze in maniera drammatica: per questo, nella nostra azienda, la cura e l’attenzione ai percorsi formativi è questione centrale per la nostra azione sindacale. Grazie a questa logica siamo riusciti a prevenire molti processi che in altre compagnie simili si sono subiti.
Il nostro mercato di riferimento è la logistica: quando lavoriamo presso magazzini e centri logistici capita spesso di confrontarsi con lavoratori e compagni delegati di queste strutture. Ci raccontano di ritmi insostenibili e di condizioni economiche e normative sottoposte a una continua tensione per la richiesta incessante di abbattimento dei costi. Nella mia città, Livorno, il porto è uno dei centri logistici più grandi e importanti. Questo luogo, uno dei cuori pulsanti della città, che ne rappresenta anche uno degli elementi identitari, con la storia del movimento operaio ad esso collegata, sta perdendo posti di lavoro.
Nel porto di Livorno oggi ci sono: operatori, meccanici, gruisti, trasportatori di rimorchi, addetti alla logistica e impiegati. Tutti questi impiegati ed operai sono di gran lunga più numerosi delle macchine e dei mezzi utilizzati al suo interno. Se rapportiamo questa nostra realtà al porto di Rotterdam - in cui l’intelligenza artificiale ha invece radicalmente cambiato il modo di lavorare, automatizzando le macchine per esempio, prive di autisti e che si muovono comandate da controlli in remoto - intuiamo subito il problema. E’ stata invertita la proporzione tra lavoratori e mezzi operanti nel porto: con molti meno lavoratori si possono gestire più macchine.
Sono queste dinamiche che espongono i lavoratori del nostro comparto, ma anche della logistica con cui ci rapportiamo quotidianamente, al rischio della perdita di valore del proprio lavoro.
In CGT/CLS abbiamo un coordinamento sindacale nazionale che lavora da oltre 30 anni: in tutto questo tempo siamo stati capaci di sottoscrivere accordi integrativi che hanno migliorato le condizioni economiche e normative, con elementi aggiuntivi o migliorativi di ciò che detta il contratto nazionale. La nostra storia sindacale, che si è avvalsa del fondamentale lavoro di Bruno Rastelli, è fatta di contrattazione e della capacità di reagire al cambiamento, tecnologico e sociale. Oggi però questo nostro lavoro deve scontrarsi con difficoltà nuove, difficoltà strutturali diverse e un panorama concorrenziale molto aggressivo in cui il prezzo del servizio rischia di essere la sola variabile su cui gioca il mercato. Molte aziende, nostre concorrenti, in maniera anche sleale abbattono i costi, mettendo in crisi anche il valore della nostra contrattazione e dei nostri salari.
Credo che la reazione più efficace sarebbe quella di reimpossessarci della capacità di coordinarci, non soltanto all’interno del nostro gruppo, ma anche con i delegati e lavoratori di altre aziende simili, così da creare dei percorsi contrattuali omogenei nell’ambito di una nuova coscienza di classe.