Giuseppe Conte ha troppi grilli per la testa. Questa almeno è l’accusa che Grillo, quello con la ‘G’ maiuscola gli sta rivolgendo. Lo scontro, tutto politico, fra lo storico portavoce del movimento e l’ex presidente del Consiglio era nelle cose, a guardar bene. Nelle redazioni dei giornali e delle tv se ne parlava da settimane, troppo diversi i caratteri, poco amalgamabile lo stile dei due. Riavvolgendo indietro il nastro del tempo, ci si rende conto che l’avvocato del popolo era perfetto per il ruolo di garante di coalizioni politiche poco omogenee, molto meno adatto per il compito di guida dell’M5S.
Leghisti e pentastellati, all’alba della legislatura avevano in comune solo il fatto di essere i vincitori delle elezioni. Quanto al governo giallo rosa, probabilmente è stata solo la pandemia a rendere possibile la sua durata, cementando nel nome dell’emergenza i rapporti tra realtà ancora una volta molto diverse fra loro.
Come trascurare, nel mutato contesto - frutto del Papeete - che aveva portato a un riavvicinamento tra pentastellati e dem, la presenza di un battitore libero come Matteo Renzi? Guarda caso, non appena iniziata la campagna vaccinale, con in agenda la traduzione pratica del Recovery plan, il leader di Italia Viva ha tradito l’allora inquilino di palazzo Chigi. Non per trenta denari, per duecento miliardi.
Da quel giorno, con l’arrivo di Mario Draghi a palazzo Chigi, hanno iniziato a convivere sotto lo stesso tetto M5S e Pd, Italia Viva e Forza Italia, perfino Lega e quella parte di Leu che fa capo al ministro Speranza e a Pierluigi Bersani. Un arco di forze così eterogenee da far venir voglia di smettere con la politica e chiudersi nel privato.
Draghi sta portando sulla stessa barca lupo, capra e cavoli. Ma la natura continua, sempre e comunque, a fare il suo corso. Morale: il Pd ha cambiato segretario, la Lega sta perdendo voti, il Movimento Cinque Stelle non sa più né chi è né cosa vuole fare da grande. Per tenere per quanto possibile saldo il suo esercito di parlamentari, dopo reiterati abbandoni, Beppe Grillo ha cercato una quadra promuovendo l’ascesa di Conte a nuova figura forte del Movimento.
Ma cosa ha a che fare il docente di diritto, con il suo imprinting cattolico democratico, con gli apostoli del ‘vaffa’? Niente. In questo modo si è consumata la rottura, lentamente ma inesorabilmente. Perché i grillini non sono né di destra, né di sinistra, e nemmeno di centro. Sono di Grillo.
Viene in mente una vecchia gag di Gigi e Andrea, con quest’ultimo che sferruzzando un maglione di lana lo minacciava: ‘Come ti ho fatto, ora ti disfo’. Dunque bye bye Conte, chi ti segue non mi ama e quindi è fuori dall’M5S. Tutto il resto, a partire dalle polemiche con Casaleggio jr. e la piattaforma Rousseau è di contorno, come l’insalata con la bistecca alla fiorentina.
Ora che succederà? Si dice in giro che Conte abbia voglia di mettersi in proprio, costruendo un bel partitino centrista, ma anche un po’ populista. Auguri. Di sicuro, la novità politica degli ultimi dieci anni appare molto appannata. E forse è proprio per questo che l’Elevato Beppe - così come si è auto definito - cerca con questa rottura di recuperare almeno formalmente il feeling con lo storico, ruspante elettorato del Movimento. Formalmente, perché passare dal soli contro tutti al tutti insieme appassionatamente è stato un attimo. La stagione estiva è appena cominciata, grilli e cicale colonizzano prati e alberi con il loro caratteristico canto, friniscono felici, salutando le giravolte del Vate, sperando in cuor loro che l’ex comico genovese assuma definitivamente il ruolo di leader. In fondo è quello che hanno sempre desiderato. Di Grillo ce ne è uno, tutti gli altri sono nessuno.