Un romanzo storico, una saga familiare, una storia di operai e di partigiani
Alla fine del 2020 le edizioni Alegre hanno pubblicato il romanzo “La farina dei partigiani: una saga partigiana lunga un secolo” di Piero Purich e Andrej Marini. Il romanzo appartiene ad un genere narrativo (“del terzo tipo”) che mescola il romanzo con il saggio storico. Non per caso, è stato edito nella collana “Quinto tipo” curata dalla Fondazione Yu Ming, collana espressamente dedicata alla pubblicazione di opere di contaminazione tra i generi.
“La farina dei partigiani” miscela dunque narrazione d’ingegno, memorialistica e ricerca storica. Alla fine del libro, gli autori – con una “operazione verità” – dichiarano le fonti storiche cui hanno fatto ricorso, quali tra i fatti narrati sia ricostruzione storica e archivistica, quanto frutto della memoria di Andrej, quali siano prodotto della sensibilità, della fantasia e della penna degli autori stessi.
Il romanzo segue, lungo “il secolo breve”, la vita di tre generazioni di uno stesso gruppo familiare – i Fontanot-Romano-Marini – che si muovono nel tempo e nello spazio tra l’Europa centrale e le Americhe, ma con un centro della narrazione ben piantato nella Bisiacaria e nei Cantieri navali di Monfalcone. Il libro nasce da un incontro – così mi ha raccontato lo stesso Andrej solo qualche giorno fa – tra Purich e Marini, a margine di una iniziativa culturale e davanti ad una buona birra fresca. In quella occasione è nata l’idea di trasformare il ricordo di Andrej in un romanzo.
Una idea che si è tradotta in cinque anni di lavoro, di colloqui registratore alla mano, di ricerche in archivi e di una paziente opera di scrittura e riscrittura.
Nella sua recensione de “La farina”, il triestino Adriano Sofri così ha descritto la Bisiacaria: “Oggi è un territorio nella parte meridionale della Provincia di Gorizia, compreso tra l’Isonzo a est, il Carso a nord-est, il golfo di Trieste a sud-est. Più o meno 70 mila persone. Che tuttavia parlano italiano, bisiaco, sloveno e friulano. (Anche bengalese, ora)”.
Andando indietro, la Bisiacaria era “otto comuni tra l’Isonzo e il Timavo. Una terra di mezzo tra la Serenissima e i domini degli Asburgo”. Tra l’Italia e l’Austria, tra l’Italia e la Jugoslavia. Una terra di mezzo fra il Friuli e Trieste. E sempre Sofri nello stesso scritto così ricorda i cantieri di Monfalcone: “Ancora negli anni 70, quella del Pci nel cantiere navale è la sezione di fabbrica con più tesserati in Italia, oltre 700. Nel 2016, quando la Lega nord conquistò il comune, ci fu sgomento fra chi sapeva un po’ di storia. Nel 1907 la famiglia Cosulich vi aveva insediato il cantiere, i cui operai, provetti quanto alle capacità professionali, tennero un posto valoroso contro il fascismo e furono protagonisti di una vicissitudine tragica quando, dal 1946, passarono in 2.500 il confine con la Jugoslavia, spesso con le famiglie, confidando di unirsi alla costruzione del socialismo. Anche il loro cosiddetto controesodo ha sofferto un lungo silenzio, o almeno una reticenza”.
Nel romanzo un ruolo centrale tocca a Edi Marini, padre di Andrej, il combattente partigiano garibaldino sopravvissuto alla fucilazione e al colpo di grazia, alla sua compagna Sidonia, ma c’è spazio per tutti. A partire dal capostipite Giobatta, el calegar, ad Eleonora sorella di Edi, allo stesso Andrej, la cui vita segna – per così dire – l’esito della saga familiare, con un bilancio – al lettore valutarne il senso e scegliere se condividerlo o no – di un percorso generazionale che è anche una rilettura delle speranze, delle certezze, delle delusioni e della grandezza degli ideali di generazioni di militanti proletari.
Come scrive l’editore nella breve presentazione della pubblicazione: “Biografie incredibili ma vere, messe insieme col rigore di chi lavora sulle fonti e narrate con la penna del romanziere. Vite che incarnano il grande sogno della sinistra europea e mondiale. Vite di chi non si è mai arreso di fronte alle difficoltà e alle delusioni più cocenti. Vite all’insegna della libertà mosse da un ideale intramontabile: la fine dello sfruttamento”.
Ma c’è un protagonista corale e collettivo che è la comunità prima socialista e poi comunista delle maestranze del cantiere di Monfalcone, una fabbrica che esprime una forza produttiva, sociale immensa, un sapere proletario che irradia tutta la comunità bisiacca, al di là delle etnie; una comunità che è stata l’anima e il cuore della società intera. Quando quella comunità, per tante vicende storiche, sociali ed economiche, si è smarrita, ha smarrito la coscienza di sé, è cambiata persino la narrazione di quanto è accaduto. La memoria di chi ricorda diviene allora uno strumento prezioso, sia pure parziale, per non dimenticare e ricostruire un sapere collettivo.
Un romanzo che alla fine può lasciare l’amaro in bocca, ma che vale la pena di leggere.
Un’annotazione. La famiglia Fontanot non ha partecipato solo alla Resistenza italiana e jugoslava. In Francia i Fontanot fecero parte della Mano d’Opera Immigrata (MOI) guidata dall’armeno Missak Manouchian. Nerone, il fratello Jacques e il cugino Spartaco caddero in combattimento.
Permettetemi di dedicare questa recensione all’unico membro della famiglia che non compare nel libro, un nipote di Edi e Sidonia da parte Beatrice, madre di Edi e sorella di Rosa Il primo caduto partigiano della famiglia: Edgardo Luis, caduto a Canale (Cjanâl di Lusince, Kanal) nell’aprile del 1944, il cui corpo è stato ritrovato solo nel dopoguerra e oggi traslato con i corpi di tanti altri nel monumento ossario dei partigiani nel cimitero di Monfalcone.
[“La farina dei partigiani: Una saga proletaria lunga un secolo” di Andrej Marini e Piero Purich. Roma, Edizioni Alegre, 2020 – 464 pp. euro 18,00 - ISBN: 9788832067460]