La sinistra sindacale milanese al congresso Filcams del 1991 - di Giancarlo Straini

IX Congresso della FILCAMS – XII Congresso della CGIL - A 30 anni dalla presentazione della mozione Essere sindacato (3)

[Giancarlo Straini è stato funzionario Filcea di Milano dal maggio 1992; successivamente segretario nazionale Filcea (poi Filcem e Filctem) dal 2000 al 2016]

Nell’ambito del 12° congresso della Cgil, nel 1991 si svolse il congresso della Filcams di Milano. Non fu un congresso di routine e per spiegarlo serve descrivere anche alcuni aspetti riguardanti la storia sindacale dell’epoca.
Come ci insegnano le scienze cognitive, la memoria non è un accesso a un deposito statico ma una continua rielaborazione, con il rischio di costruirsi falsi ricordi. Gli archivi sono importanti anche per evitare simili rischi, ma io sono un archivista poco sistematico, quindi (pur avendo coinvolto nella stesura alcuni dei protagonisti di allora) quanto segue va preso con qualche cautela, almeno per i dettagli.
La Filcams di Milano degli anni ’80 era governata da un gruppo di comunisti miglioristi molto settari, che emarginavano gli altri orientamenti (socialisti, comunisti di diversa tendenza, estrema sinistra). Parallelamente, nella Fisascat-Cisl di Milano erano presenti molti compagni e compagne comunisti, demoproletari, comunque decisamente collocati a sinistra.
Più in generale, a Milano si era formata una sinistra Cisl che aveva contribuito molto alla diffusione delle lotte e all’unità sindacale fin dagli anni ’60. A Milano l’unità sindacale era stata voluta e praticata, anche con la costituzione dei Consigli Unitari di Zona (CUZ). Il riflusso, da metà anni ’70 spostò l’obiettivo, dall’unità organica alla Federazione Cgil-Cisl-Uil, finché anch’essa non venne sciolta nel 1984 a seguito della rottura sulla scala mobile. Questi accenni storici per ricordare il clima unitario dell’epoca che – in particolare in alcuni territori e categorie – faceva privilegiare gli orientamenti politico-programmatici del momento sull’appartenenza all’organizzazione sindacale.
Iscritto alla Filtea-Cgil da inizio anni ‘70, operaio tessile e poi chimico, quando cambiai lavoro e venni assunto al supermercato SMA di via Mancini a Milano, mi iscrissi alla Fisascat-Cisl dove c’erano molti compagni e compagne che conoscevo da tempo. Di seguito userò il plurale, non certo maiestatis, per segnalare che c’era un forte legame con un gruppo di delegati e delegate della sinistra sindacale trasversale e che le decisioni, anche quelle che mi riguardavano personalmente, erano prese collettivamente, in riunioni informali ma non per questo poco strutturate.
Capitò di essere determinanti per una svolta di gestione politica della Fisascat di Milano, grazie alla rappresentatività che avevo/avevamo conquistato nel gruppo Rinascente. Decidemmo che era preferibile che io avessi incarichi importanti come funzionario (in Cisl si dice operatore) piuttosto che far parte della segreteria territoriale ma con scarso potere e libertà d’azione. Costruimmo così rapporti importanti, per esempio con la Filcams di Torino e riuscimmo spesso a condizionare le stesse segreterie nazionali Filcams-Fisascat-Uiltucs nella contrattazione di gruppo della Grande Distribuzione.
Dopo la rottura del 1984 il clima cominciò a cambiare; iniziò una “normalizzazione” e anche nella sinistra cislina si accorsero che avevo “una cultura Cgil”. Mi proposero incarichi “appetibili” ma distanti dalle iniziative in cui eravamo immersi; decidemmo di continuare consapevoli che stava maturando il mio “licenziamento”; infatti non fu rinnovata la mia aspettativa e tornai a lavorare in Sma. Ci furono proteste, raccolte firme, anche una manifestazione di un centinaio di delegati sotto la sede della Cisl, e un rafforzamento dell’auto-organizzazione e della coesione di questi militanti.
Nel frattempo anche la Camera del Lavoro di Milano stava agendo per “normalizzare” la Filcams, in questo caso per ricostruire un clima pluralistico (la sinistra sindacale nella Filcams di Milano era stata ridotta ai minimi termini, sia quantitativamente sia come possibilità di influire). Mi offrirono di diventare funzionario Filcams in quota socialisti, garantendomi un’ampia autonomia ma ferma restando l’appartenenza alla corrente. Rifiutammo perché intendevamo affermarci in Filcams come Democrazia Consiliare.
Rientrato in Sma con la mia mansione di 5° fisso, la direzione mi propose di diventare gerente; non avendo accettato mi proposero una buonuscita consistente (100 mln di lire); avendo rifiutato iniziò la repressione in stile sabaudo (la Fiat era entrata nel gruppo lR-Upim-Sma). Vinsi una causa che fissava il principio che il tempo per indossare la divisa fosse a carico dell’azienda, poi – a fine 1989 – mi licenziarono “per divisa sporca”, ma dopo qualche mese il giudice ordinò la mia reintegra.
Utilizzai il tempo “liberato” per scrivere un documento: “Elementi per una analisi di classe della distribuzione commerciale” come Democrazia Consiliare, usato come base di discussione anche nell’Assemblea seminariale nazionale di Essere Sindacato Filcams, che si sarebbe tenuta a Firenze nel gennaio 1992. Un testo che oggi giudico un po’ schematico ma ancora utile e comunque indicativo di come affrontavamo il tema dell’organizzazione del lavoro.
All’avvio del 12° congresso Cgil, Democrazia Consiliare confluì in Essere Sindacato. Nella Filcams di Milano la sinistra sindacale fu in gran parte costituita dalle decine di delegati che negli anni precedenti erano passati dalla Fisascat alla Filcams. Oltre al numero risultò decisiva la capacità organizzativa maturata in situazioni spesso difficili e nel Movimento dei Consigli. Fatto sta che – nonostante alcune “forzature” – Essere Sindacato raccolse in Filcams circa un quarto dei consensi.
Evitammo di fare ricorsi per le “forzature”, convinti che il nostro successo congressuale fosse comunque stato vissuto da molti in Filcams come un’azione di sfondamento da parte di ex cislini. Comunque il risultato era tale da garantire una presenza di Essere Sindacato in segreteria, ma c’erano resistenze sul mio nome, probabilmente superabili ma a rischio di cristallizzare una alterità.
Valutammo che Essere Sindacato Filcams fosse ormai sufficientemente solido per reggere un segretario “paracadutato” da un’altra categoria e che, viceversa, c’erano altri ambiti da organizzare. A fine anni ‘70 avevo lavorato come operaio chimico alla Max Meyer; decidemmo che mi sarei dovuto orientare verso la Filcea-Cgil; restai a lavorare in Sma per più di un anno, poi divenni funzionario dei chimici di Milano. Iniziò così un nuovo capitolo della mia vita, ma non si è mai affievolito il mio legame affettivo con la Filcams.