Felicità per la fine di una guerra di aggressione inutile e crudele che è costata centinaia di migliaia di vittime al popolo afghano, milioni di profughi e che ha travolto la vita di 54 soldati italiani inviati a spalleggiare le forze collaborazioniste degli USA e il ferimento di 651.
Soddisfazione per la fine di una aggressione che consente al popolo afghano di tornare padrone del proprio destino dopo 20 anni nei quali le truppe USA e NATO e i signori della guerra, che vivono dei proventi del traffico di oppio e di taglieggiamenti, hanno imposto la loro presenza.
Ma anche dolore infinito, per quelle componenti della società afghana che in questi anni – soprattutto nelle città – hanno potuto approfittare di un margine di autonomia e libertà, soprattutto per le donne, tornando a respirare il clima culturale di prima del 1979, quando gli islamisti – con l’aiuto USA – rovesciarono il regime progressista, dopo il tragico errore dell’Unione sovietica che intervenne militarmente.
Impotenza, di fronte al fatto che la guerra inutile non ha minimamente scalfito il terrorismo islamista, ma anzi gli ha offerto un nuovo campo di battaglia e un nuovo terreno di reclutamento e infiltrazione.
Aver espatriato quanti hanno creduto o collaborato con gli invasori è un dovere, ma non la soluzione per il popolo afghano nel suo insieme. Se si vuole aiutare gli afghani bisogna dialogare, sostenere le ong indipendenti come Emergency.
La destra parla di sanzioni e di nuovi interventi. Gli USA credono di risolvere tutto con assassinii mirati o bombe. Noi dobbiamo dire parole di pace senza porre condizioni ma dando il virtuoso esempio di società che, rispettando il diritto alla vita e all’autodeterminazione, sono maestre di esempio positivo di libertà, giustizia e diritti.