Per una FILCAMS unita e plurale, per i diritti, per un sindacato di classe - di Francesco Gagliardi

La relazione introduttiva di Francesco Gagliardi alla assemblea della sinistra sindacale di Padova, 1° dicembre 2020

zio tutti per la vostra partecipazione e per essere alcuni in presenza, altri in modalità online. Vorrei ringraziare per la partecipazione e salutare in particolare il compagno Andrea Montagni, presidente del comitato direttivo nazionale della FILCAMS e coordinatore in categoria dell’aggregazione “Lavoro e Società per una CGIL unita e plurale”, che in questi anni si è fortemente battuto per la riunificazione della sinistra sindacale.
Ringrazio per la presenza la Segretaria generale della FILCAMS-CGIL di Padova Marquidas Moccia e Franco Noventa presidente del nostro comitato direttivo.
In questi nove mesi di pandemia le lavoratrici e i lavoratori, e in particolare le lavoratrici e i lavoratori rappresentati dalla FILCAMS, come il resto della popolazione di questo paese sono sotto stress, pieni di paura e ogni giorno fanno i conti con questo virus che non si riesce a sconfiggere.
La crisi legata alla pandemia che stanno subendo i settori del turismo, dei bar e ristoranti non ha precedenti: abbiamo un intero settore che da un giorno all’altro si è trovato con un forte calo di lavoro. In particolare le lavoratrici e i lavoratori del settore ristorazione e dei bar, anche a causa del cosiddetto lavoro grigio, ovvero contratti a poche ore e il resto in nero, si sono trovati con dei sussidi da fame.
Gli esercizi commerciali, la piccola e grande distribuzione organizzata, gli addetti delle pulizie e alle mense degli ospedali, la vigilanza privata, studi professionali, le lavoratrici domestiche e molti altri operatori dei servizi stanno facendo i conti, oltre che con la perdita di salario dovuto alle molte ore di cassa integrazione, con una forte esposizione al rischio della salute nel posto di lavoro ovvero al contagio del covid-19.

Fare sindacato nella pandemia
Tante sono state le battaglie che abbiamo dovuto affrontare insieme alle RSA dall’inizio della pandemia per l’uso dei dispositivi di protezione, per le misure di distanziamento fisico e per la gestione dei flussi.
Ad inizio pandemia ricordo che le mascherine non venivano fornite e, quando fornite, veniva chiesto di tenerle almeno tre giorni e perfino, in alcuni posti di lavoro, con la scusa della privacy, tenevano nascosti i casi positivi.
La pandemia ha anche cambiato il nostro operato come sindacato: il distanziamento credo che sia la peggiore cosa che può capitare al nostro agire quotidiano come sindacalisti.
Devo confessare che fare sindacato 4.0 a distanza è stressante e poco soddisfacente. Ti manca il rapporto umano, ti mancano tutti quegli strumenti di comunicazione non verbale, ti mancano le emozioni e il calore delle persone in carne e ossa che un video freddo non riuscirà mai a farti percepire.
Anche le iniziative come questa non ti fanno vivere l’emozione della platea.
Tuttavia, come Cgil, nonostante le forti difficoltà dovuti al distanziamento, alle sedi chiuse o con accesso limitato, al lockdown, alla grandissima mole di lavoro arrivata in particolare nella prima fase per quanto riguarda le casse integrazioni, siamo riusciti a fare la nostra parte. Siamo riusciti a ottenere il blocco dei licenziamenti fino a marzo 2021 e la relativa proroga della cassa integrazione. Siamo riusciti a gestire il rispetto delle norme di sicurezza nei posti di lavoro e questo grazie anche all’impegno e al grande lavoro svolto dalle delegate e dai delegati che, come sempre, si sono battuti in prima linea e che ringrazio per la generosità.

Una società ancor più diseguale
Durante le crisi mi sono sentito dire che da una crisi si può uscire meglio o peggio di come si è entrati; da questa crisi pandemica credo, però, che ne usciremo cambiati.
Allora mi chiedo: come la pandemia sta cambiato la nostra società? Come sarà a fine pandemia?
Una settimana fa da un rapporto del Censis è emerso che sono 5 milioni gli italiani che hanno difficoltà a mettere in tavola un pasto decente e 7 milioni e 600mila quelli che hanno avuto un peggioramento del loro tenore di vita; che il 60% ha paura della perdita del lavoro, o del reddito, il prossimo anno; che per l’ennesima volta si sono create forti differenze generazionali: tutti i fenomeni di riduzione dell’occupazione colpiscono soprattutto i più giovani rispetto ai lavoratori adulti, aumentando ancora di più il gap generazionale; che ci sono fortissime differenze anche nell’accesso al web, con il 40% di famiglie a basso livello socioeconomico che non ha accesso alla rete, mentre tra le famiglie ad alto livello socioeconomico solo l’1,9% non ha accesso alla rete.
Inoltre il rapporto dice che un milione e mezzo di italiani detengono un patrimonio finanziario (quindi senza considerare gli immobili) superiore a 500mila euro.
Complessivamente la ricchezza di questo milione e mezzo di italiani vale 1.150 miliardi di euro. Il valore medio del patrimonio di questi soggetti è di 760mila euro.
Se a questi dati aggiungiamo anche il dato della Banca d’Italia, secondo cui la ricchezza finanziaria del totale delle famiglie italiane è invece di 4.374 miliardi di euro, concentrata per il 70% in mano al 20% più ricco della popolazione, non si può che giungere a conclusioni inequivocabili e di facile interpretazione: usciremo da questa pandemia con una società ancora con più diseguale.

Un programma di “pubblica utilità”
Allora mi chiedo cosa aspetta il governo ad intervenire con degli strumenti perequativi di questa diseguaglianza che, a mio parere, non può essere altro che una tassa patrimoniale sui grandi patrimoni immobiliari e finanziari. Patrimoniale che deve portare a una diminuzione della pressione fiscale sui redditi medio-bassi e sul lavoro dipendente e aumentare le risorse per le politiche di stato sociale rendendolo maggiormente efficiente e più universale.
Bisogna che il governo e le regioni invertano la rotta sulla privatizzazione della sanità pubblica, riprendendo a fare investimenti per il potenziamento dei presidi pubblici attraverso un piano di assunzioni di personale sanitario e sviluppando un sistema di sanità territoriale. Poco mi convince il MES sanitario che, oltre ad aumentare il debito pubblico, ci porterà ad essere schiavi della troika. E a questo bisogna opporsi qualora il governo dovesse procedere in tale direzione.
C’è bisogno che si programmi un intervento per ricostruire una scuola pubblica efficiente in grado di fronteggiare le nuove realtà e soprattutto in grado di rispondere ai bisogni degli studenti appartenenti ai ceti più deboli, che non devono essere lasciati indietro.

Il “che fare” della CGIL
Dal punto di vista sindacale le azioni da mettere in campo per ridurre le disuguaglianze a mio avviso devono essere: la lotta alla precarietà; pretendere un intervento legislativo che cancelli le leggi sul precariato come la legge n. 30 ed il JOBS ACT; bisogna pretendere un incremento sostanziale delle pensioni medie e basse ed una riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario.
Bisogna lavorare per una riforma degli ammortizzatori sociali universale, cioè capace di dare reddito dignitoso a tutte le categorie di lavoratori; è inaccettabile, e in questi mesi spero ci siamo resi conto tutti, quanto sia iniquo il sistema attuale degli ammortizzatori sociali.

Rinnovo dei contratti collettivi
Il nostro segretario generale Maurizio Landini qualche alcuni mesi fa diceva: “Il problema è rinnovare i contratti nazionali, Le teorie e le ricette proposte dal presidente di Confindustria sono vecchie e corrono il rischio di alimentare solo conflitti. Per far crescere il paese c’è bisogno di rinnovare i contratti, non solo dal punto di vista salariale – e noi chiediamo di defiscalizzare gli aumenti retributivi dei contratti nazionali -, ma per affrontare la fase nuova che abbiamo davanti: l’innovazione tecnologica, la rimodulazione degli orari, la formazione continua, i nuovi modelli organizzativi e per ridurre la precarietà”. Parole condivisibili quelli di Maurizio Landini tranne che nella parte in cui chiede la defiscalizzazione degli aumenti retributivi, credo che ci sia bisogno di una riforma fiscale complessiva che vada ad abbassare le aliquote medio basse. Difatti con la sola defiscalizzazione degli aumenti retributivi rischiamo di creare l’ennesima disparità abbassando il carico fiscale solo per chi rinnova i contratti e chi non riesce a rinnovarli? Vedi nei nostri settori multiservizio e vigilanza privata.
Per quanto riguarda la FILCAMS, bisogna dare atto dell’impegno che le donne e gli uomini di questa categoria mettono tutti i santi giorni nel loro agire sindacale tenendo aperti tavoli e aprendone di nuovi per il rinnovo dei contratti. Tuttavia credo che alcuni errori fatti, con la firma del contratto della vigilanza non armata, non vadano ricommessi. Non si può firmare un contratto con una retribuzione oraria di 4 euro.
Non si può continuare a scambiare welfare con salario, e non si può continuare a cedere diritti acquisiti come il diritto alla malattia.
Se diciamo che il contratto nazionale è lo strumento a disposizione del sindacato per migliorare le condizioni dei lavoratori, possiamo usare qualsiasi forma o metodo nuova o vecchia per avviare la contrattazione, ma l’obbiettivo finale deve essere sempre il miglioramento delle condizioni materiali e di vita delle lavoratrici e dei lavoratori. Ed è questo il ruolo di un sindacato di classe, ovvero, la difesa dei salari, in particolare per i livelli più bassi; la riduzione dell’orario di lavoro, l’aumento dei diritti nei posti di lavoro, il miglioramento della salute e sicurezza dei lavoratori, la difesa delle pensioni e la garanzia di un reddito sufficiente alla sopravvivenza per i disoccupati.

La sinistra sindacale per una CGIL unita e plurale
Alla fine del congresso della Cgil del 2014, i compagni e le compagne di quella che era l’area programmatica di “lavoro e società cambiare rotta” si dividono; a partire dai congressi regionali e poi durante i congressi nazionali di categoria, una parte fa la scelta di presentare liste alternative e al congresso nazionale della Cgil vota un documento alternativo il cui primo firmatario è Maurizio Landini. Mentre altri continuano a votare il documento congressuale di maggioranza il cui primo firmatario è Susanna Camusso.
Alla fine di quel congresso ci trovammo con la costituzione di due aree programmatiche di sinistra sindacale “Lavoro e Società” e “Democrazia e Lavoro”. Non sto qua a discutere chi aveva o ha avuto ragione in quelle scelte, credo sia una riflessione superata dai tempi.
Oggi si deve provare a costruire con tutte le forze le condizioni per il superamento di tali divisioni per provare a gettare le fondamenta per la ricostituzione della Sinistra Sindacale nella Cgil. Tanti piccoli orticelli, o cespugli come li chiamava qualcuno, credo che abbiano poca incidenza e a poco servono alla finalità di un’area di natura programmatica che “concorra a far navigare tutta la CGIL in mare aperto, avendo certo l’approdo comune”, come il compagno Andrea Montagni affermava a Rimini poco più di un anno fa nel seminario di Lavoro Società della FILCAMS-CGIL.
In FILCAMS, grazie anche all’impegno e alla testardaggine di Andrea Montagni, il percorso per dare vita alla Sinistra Sindacale in questi anni ha fatto tanta strada e credo, almeno per quanto mi riguarda, che si sono create le condizioni politiche per il superamento delle nostre divisioni. A livello confederale, nonostante le varie aperture vere o presunte, non si è riusciti a fare lo stesso percorso che si sta facendo in FILCAMS.
Per ultimo, venerdì e sabato scorsi durante l’assemblea nazionale di ‘Democrazia e Lavoro’, Adriano Sgrò, il coordinatore nazionale, nella sua relazione introduttiva, ha dichiarato volontà e disponibilità a mettersi a disposizione per rifondare la Sinistra Sindacale in Cgil.
Ringrazio Adriano per questa chiara ed esplicita apertura e credo che sarebbe un errore lasciar cadere nel vuoto tale disponibilità. Ognuno faccia la sua parte.
Nella FILCAMS ci stiamo provando e forse ci riusciremo!


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