Alessandro Rossi, delegato e dirigente della Filcams Cgil di Torino. Promotore e organizzatore della lotta dei lavoratori del Call Center - Sovracup della Sanità piemontese, prima delegato e poi RSU, si è iscritto alla Filcams, divenendone velocemente membro del Direttivo di Torino.
Autodefinitosi ironicamente “sindacalista abusivo” per l’occupazione quasi permanentemente degli uffici della Filcams nel suo tempo libero per organizzare meglio l’azione sindacale, era diventato un punto di riferimento stabile di molti per il forte presenzialismo a tutte le iniziative Cgil. L’improvvisa malattia lo ha strappato alla vita sindacale. Ma Ale non è scomparso: pur costretto su una sedia a rotelle, ha continuato ad esserci per Filcams e Cgil nelle grandi occasioni, nelle lotte, nei direttivi. Senza arrendersi ha continuato la sua battaglia da disabile con la fisioterapia per ritornare a camminare e nel quotidiano per la difesa dei diritti dei disabili contro ogni forma di esclusione, fino all’idea di candidarsi alle amministrative di Torino.
Come è iniziata la tua militanza di base?
Forse sono nato comunista senza saperlo. La mia famiglia era democristiana. Da giovanissimo sono stato vicino al Pci, poi in Rifondazione e nella Cgil. Ho coltivato un amore per Cuba, Guevara e Castro, come la passione per il teatro politico e d’avanguardia, da Brecht al Living Theatre, recitando in stamberghe da teatro off off.
Che peso ha avuto il lavoro nelle tue scelte?
Essenziale. Ho iniziato a lavorare a 16 anni come meccanico in una fabbrica di macchine di maglieria a Gavi, poi in un cementificio come conduttore di carroponte. Nel frattempo, studiavo da perito elettronico. Dopo il diploma sono migrato a Torino, dove ho fatto lavori precari in molte aziende, tipo guardiano museale stagionale, infine nei call-center fino al Sovracup, dove mi sono fermato, per bisogno. Qui ho vissuto profondi cambiamenti: dalla centralità dei bisogni dell’utenza ad un sistema fordista fondato sul numero delle prestazioni monetizzate, i minuti contati, perdendo di vista la resa generale del servizio.
Come ti sei avvicinato alla Cgil?
Nel Sovracup la Cgil sembrava lontana, eravamo interinali. E’ vero che la maggioranza non cercava il sindacato, credendo nel miraggio del posto fisso. Poi di colpo ci siamo trovati appaltati ad un’azienda che non voleva assumerci. Abbiamo chiamato vari sindacati, per sicurezza. Si sono presentati in tre della Cgil e uno della Uil. Sono rimasti in due: uno della Filcams e l’altro Cgil confederale. Ma si sono impegnati a supportarci nella lotta. Abbiamo fatto per primi in Italia uno stato di agitazione dei lavoratori interinali, con conciliazione in prefettura con Asl, Regione Piemonte, l’associazione delle aziende interinali e l’ATI della Telecom subentrata nella gestione del servizio. Il posto lo abbiamo tenuto, invece il salario ce l’hanno ridotto. Questo 11 anni fa.
Come ti sei trovato in Filcams?
A mio agio, sapendo coglierne gli aspetti buoni e negativi. Vi trovai l’impegno dei funzionari nel cercare di tutelare i lavoratori, come la notevole dispersione delle attività legata alla polverizzazione dei posti di lavoro e dei contratti, a cui spesso i pochi compagni della struttura non riescono a far fronte dandosi anche solo un maggior coordinamento per avere una migliore visione d’insieme e una strategia. Ho subito cercato di dare una mano ai compagni della struttura torinese, supportandoli nelle iniziative e nell’organizzazione. In seguito ho anche collaborato col Nidil nell’assistere i precari tramite gli sportelli resistenti sul territorio e i corsi di alfabetizzazione sui diritti dei lavoratori atipici.
Poi c’è stato il trauma della malattia.
Ero sempre più impegnato nell’attività sindacale fra Sovracup, Filcams, Nidil, Cgil di Torino, tornavo sempre tardi a casa. Era una vita piena, intensa, stressantissima, certamente, ma mi piaceva.
Un giorno come un fulmine a ciel sereno, ho avuto un male atroce alla testa, poi la mia compagna Marzia mi ha trascinato a forza in ospedale, lì ho scoperto di avere un’emorragia celebrale. La mia vita dalla rianimazione in poi è cambiata. Non ho grandi ricordi. Solo l’eredità di questa sedia a rotelle, la fisioterapia che continuo a fare da tre anni, la volontà di riprendermi una fetta di autonomia e la scoperta di una nuova condizione e di un nuovo fronte di lotta sui diritti: quella del disabile.
Si va dalle cose più piccole legate al quotidiano a quelle più grandi dei diritti negati a uomini e donne disabili in quanto cittadini: dalle pensioni basse alla mancanza di servizi sanitari e sociali adeguati per il recupero e il reintegro del disabile (eredità pesante dei tagli liberisti). Poi ci sono le spietate lungaggini burocratiche date dai cavilli legali e dai rimbalzi di competenze che rendono un diritto irraggiungibile. Penso a quanti non riescano a muoversi in questo ginepraio, per disinformazione o carenza di mezzi, senza computer, senza SPID. La difficoltà ad avere i ricambi di ausili o un’assistenza fisiatrica spingono il disabile a ricorre spesso al privato, magari convenzionato, se se lo può permettere.
Come vedi la Cgil oggi?
Malgrado le difficoltà manifestate dalla Cgil in quest’ultima coda della pandemia fra blocco dei licenziamenti e green pass, rimane ancora il maggiore sindacato in grado di poter difendere i lavoratori contro le pesanti offensive padronali. Certo, la Cgil dovrebbe andare a cercare i lavoratori nei posti di lavoro, non aspettarseli arrivare nei servizi CAF, sempre che riescano a parlargli delle loro condizioni di vita e lavoro.
Con l’organizzazione purtroppo adesso non ho più grandi rapporti, sono giusto revisore dei conti del Direttivo della Filcams, un posto onorifico.
Nonostante le mie difficoltà rimango un “sindacalista abusivo”. Dove posso cerco di sindacalizzare e invogliare i lavoratori che incontro ad iscriversi alla Cgil. Poi non sempre ci vanno, magari dipende da chi incontrano o dalla semplice comodità di avere il sindacato sotto casa.
Perché ti sei candidato alle amministrative di Torino?
Sono candidato nel mio quartiere San Paolo, vecchio borgo operaio di Gramsci e Dante Di Nanni. Ovviamente la mia idea è quella di riportare da un punto di vista classista le tematiche dei disabili nelle sedi rappresentative istituzionali: problemi questi troppo spesso dimenticati se non disattesi dalla maggioranza degli “abili”. In fin dei conti credo ancora in un mondo migliore possibile!